Samanta Giuliani: Lady “Pop Brand”
In questo secondo appuntamento di KOMUNIKANTE incontriamo Samanta Giuliani.
Esperta di comunicazione e marketing, lavora nel campo delle agenzie da più di 14 anni, ricoprendo diversi ruoli di coordinamento strategico all’interno delle principali realtà internazionali.
Dal 2022 è Co-Founder e Managing Director di The POP, agenzia strategico creativa indipendente. È membro del Consiglio di ADCI, l’Art Directors Club Italiano ed è co-autrice insieme a Stefano Pagani del libro “La Seconda Legge dei POP Brand”, edizioni Fausto Lupetti, 2022.
1) Leggendo il tuo libro ho avvertito una tua necessità a lasciare delle domande e tante suggestioni ai tuoi lettori e ai professionisti della comunicazione grazie a delle provocazioni gentili… Mi è arrivato un messaggio chiaro da parte tua: Il mondo dei creativi e le agenzie di comunicazione devono cambiare i vecchi paradigmi sui quali da molto tempo si sono basate campagne e piani media. La soluzione l’hai trovata in quello che definisci il Pop Brand. Ce ne vuoi raccontare?
Il punto di partenza è molto semplice: se ci pensiamo, i modelli di lavoro che seguiamo all’interno del mondo della comunicazione sono modelli mutuati dagli anni ’50-’60, a cui decennio dopo decennio andiamo solamente ad aggiungere nuove figure professionali. Questa non può essere la risposta a uno scenario che è cambiato drammaticamente come quello della comunicazione: negli anni ’60 un brand doveva gestire la propria comunicazione su pochi mezzi di massa (stampa, affissioni, radio, TV), oggi la molteplicità dei canali e la velocità evolutiva dei linguaggi rendono impossibile ridurre tutto agli stessi flussi. Per costruire le marche in un ecosistema così frammentato, ho sintetizzato una nuova definizione di marca: il POP brand. Il POP Brand è l’evoluzione di quelli che una volta chiamavamo Love Brand. Se il Love Brand mirava a costruire una relazione unica con i suoi consumatori, sfida oggi sempre più complessa e costosa da mantenere nel tempo, il POP brand mira a costruire una conversazione unica, memorabile e inconfondibile, attorno a una marca. Perché l’unico vero elemento di marca che ha la forza di viaggiare attraverso uno scenario così frammentato e di vincere il rumore di fondo è la storia che la gente racconta.
2) Nel tuo libro c’è una chiara dichiarazione d’intenti che condivido pienamente:
” Nel pop brand Le persone non sono più al centro della storia di una marca: sono all’inizio, alla fine e al centro del percorso, e il contenuto che offriamo loro deve essere un motore che le stimola in questo processo” Sembra che tu voglia dire in un certo senso: Meno grafici di analisi e dati di marketing ma più ascolto dei target di riferimento che sono composti da persone. Sembra un invito ad una maggiore sensibilità verso chi sceglierà un brand e allo stesso tempo ad una sollecitazione verso i professionisti della comunicazione
” Chi osa in questo periodo storico avrà vinto” È così?
È assolutamente così, e aggiungo che “osare” oggi significa prepararsi a perdere il controllo e a lasciare entrare i consumatori all’interno della storia di Marca. Se all’avvento di internet è razionalmente impossibile pensare di tenere sotto controllo ogni possibile deriva di quello che comunichiamo, non è tempo per le aziende di reinventare il modello, trovando il modo di coinvolgere direttamente i consumatori nella costruzione del valore della loro marca? I dati sono utili, certo, ma i segnali deboli, quelli umanistici, antropologici, sono essenziali per trovare la rotta prima degli altri in un mondo che è sempre più composto da micro-community, ciascuna con i suoi bisogni, i suoi linguaggi, le sue manie.
3)Il significato etimologico del termine Innovazione è il seguente: Alterare l’ordine delle cose stabilite per fare cose nuove. Il tuo libro parla molto di Innovazione. Un’ Innovazione di Approccio prima di tutto. Credi che i professionisti di lunga data faranno fatica ad adeguarsi trovando quel coraggio che definisci necessario in questo periodo storico per dare vita al nuovo paradigma del Pop Brand?
Penso che fatto sia meglio che perfetto. L’innovazione non nasce mai come una grande idea fatta e finita che cambia il mondo. È sempre figlia dell’errore, della prova, del tentativo, di un processo iterativo. Oggi troppe agenzie sono alla ricerca del progetto perfetto, senza sbavature, “da Cannes”. Ma l’innovazione vera si fa sul campo passo dopo passo, accompagnando le aziende a capire l’effetto di cambiamenti anche piccoli, di metodo, di tono di voce, che su lunga scala portano a risultati giganteschi per l’equity della Marca. La fiducia reciproca, tra azienda e agenzia, diventa in questo nuovo scenario un elemento cruciale.
4) Per te qual è la leva che spinge le persone a raccontare una storia quando questa arriva da un brand?
Le leve, come descrivo nel libro, secondo me sono 4: una è la memorabilità, la capacità di colpire l’immaginazione, di far lavorare il cervello, di intrattenere ed emozionare. La seconda è la talkability, la sua carica di “chiacchierabilità”: è facile da raccontare ad altri? È succosa? La terza è la sua openess: se anche io come ascoltatore o spettatore posso aggiungerci una parte di storia, la sento più mia, ho voglia di farla viaggiare e di raccontarla. L’ultima è lo storybeing: una storia oggi può essere anche un’azione, una scelta di prodotto o di design, un modo di attivarsi sul territorio, qualsiasi cosa dimostri qual è la “morale della storia” anche senza la necessità di usare pubblicità e comunicazioni tradizionali.
5) Quali sono le caratteristiche del Pop brand? E quanto il concetto di Gratitudine da parte di un target può essere complice nella vittoria di una campagna quando si parla di Pop Brand?
Moltissimo: la gratitudine, e anche la gentilezza, sono una forza enorme che nel caso del Pop è vera sia nel processo interno, tra azienda e agenzia, che in quello esterno e più classico, tra azienda e consumatore. La gratitudine vive nel nostro settore attraverso relazioni consulenziali dove non si sta al tavolo come entità contrapposte, ma come partner complementari che rispettano vicendevolmente il valore che l’altro porta al tavolo. Inoltre, per me la gentilezza è anche pazienza: in un mondo, quello del marketing, che chiede risultati, risultati, risultati, dobbiamo ricordarci che come consulenti esterni abbiamo il lusso di poter esercitare l’arte della pazienza e della visione d’insieme nella costruzione di un percorso con un’azienda. Le relazioni più belle che abbiamo avuto con dei clienti sono quelle che hanno saputo costruire nel tempo, con pazienza, un percorso evolutivo fatto di tanti progetti timely che oggi possiamo dire, riguardando indietro, abbiano tutti contribuito a modo loro a rendere timeless quell’azienda o quel prodotto.
6) Un mio motto è ” Il Primo Media è la Persona”.
Si può definire il Pop Brand sia il prodotto di una fusione di voci che si prendono per mano: Azienda + Target?.
Certo, e non solo. Il Pop Brand considera l’intersezionalità come elemento centrale della propria visione. Intersezionalità significa che un’azienda è fatta di persone, e che quindi la storia da raccontare può e deve sempre di più passare anche dai dipendenti attraverso un employer branding intelligente. E viceversa, che le persone possono essere consumatori, ma anche manager, ma anche dipendenti, ma anche influenzatori di persone terze. E cosa accomuna tutte queste infinite varianti? Sono tutte persone. E rispondo perciò agli elementi chiave di cui abbiamo parlato prima: memorabilità, talkability, openess e storybeing. È così semplice da diventare una nuova arte. Questo è il Pop.
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Alessio De Bernardi – Fondatore di ADBcomunica
Coordina la rubrica KOMUNIKANTE su Italia Economy Comunicatore ed esperto di Media & Public Relations |