• 9 Febbraio 2025

La ricerca del bello nel piccolo

 La ricerca del bello nel piccolo

Piccolo è bello – uno slogan vetusto, un presupposto nostalgico o un tema che, per la sua inossidabilità, torna prepotentemente alla ribalta?

La ricerca del bello nel piccolo – contesto attuale

A volte qualche relatore, non toppo smaliziato, confida su alcuni slogan per fare colpo verso la platea. “Piccolo è bello”, sia come affermazione che come domanda, è uno di questi. Non sempre riesce nell’intento specie se in sala qualcuno correla la frase al manifesto economico del lontano 1973 di Ernst Friedrich Schumacher. Per sopravvivere, sosteneva lo studio, il sistema deve puntare su risorse locali e mercati locali. Era un preavviso al capitalismo.

Successivamente la globalizzazione ha aperto alla generazione di catene del valore facendo ritenere la geografia un elemento insignificante e la dimensione aziendale un efficace atout.

Nonostante ciò, pur con tutte le sue contraddizioni e scontatezze, “piccolo è bello” è uno slogan che torna ciclicamente a fare tendenza.

Il mondo accademico, di massima, richiamando i comuni principi economici, ritiene che sia necessaria una massa critica più significativa per assicurare il successo del sistema imprenditoriale e, in ultima analisi, una progressiva e non lenta tendenza all’aumento della dimensione media delle aziende. Solo in questo modo sarà possibile competere con gli altri Paesi. Ciò è apparso in tutta la sua evidente lucidità in un mio precedente articolo a commento del Seminario “Le trasformazioni del sistema industriale” svoltosi a Pistoia il 28 e 29 settembre scorso ( https://italiaeconomy.it/banche-imprese-e-finanza-riflessioni-e-bilanci/ ).

Il mondo politico, sindacale e associativo reclama piena dignità a qualsiasi espressione imprenditoriale, senza che la dimensione possa costituire la forca caudina sotto la quale dover passare. Questa tesi, di sicuro fortemente sentita in pectore, potrebbe essere stimolata, o rafforzata, da due elementi a loro volta non poco convincenti:

  • il numero delle piccole imprese rappresenta la stragrande maggioranza (numerica) delle stesse imprese;
  • queste realtà assorbono un numero importantissimo di dipendenti.

Per quanto ovvio, qualsiasi razionalizzazione si perorasse avrebbe effetti domino non insignificanti in chiave antropica e, forse, una rimodulazione degli attuali equilibri politici, associativi e sindacali. Sono tutti aspetti che fanno riflettere e, purtroppo, non stimolano decise prese di posizione. Quale dei due fronti ha maggiori chances? Staremo a vedere. Intanto proseguiamo nelle riflessioni.

Cosa sta accadendo negli ultimi anni?

Soltanto a piè pari la crisi del 2007, l’effetto del debito sovrano del 2011/2012, terremoti, catastrofi ambientali e guerre varie, giungiamo alla pandemia. Dopo di essa abbiamo vissuto      il rincaro esponenziale delle materie prime non energetiche, appena dopo di quelle energetiche, una fiammata di inflazione, un rialzo dei tassi. Tuttora, anche in odor di complotto, si ha a che fare con una vischiosità che rende complesso il riallineamento di prezzi e interessi. Condiamo il tutto con una previsione al ribasso del PIL per il 2013 – da 1,3% a 0,7% – da parte di Banca d’Italia e possiamo ben comprendere come il campo da gioco per le imprese, specie le più piccole, sia tutt’altro che livellato.

Intanto negli ultimi anni la dimensione media delle imprese non è cresciuta. La gaussiana si è arricchita nelle sue code e continua a proporsi il tema del gran numero delle imprese di minori  dimensioni. Il fenomeno è dilagato anche per intercettare le varie esigenze di flessibilità contrattuale richieste dal mercato (piccole partite iva in luogo dei lavoratori dipendenti, per intenderci).

Per quanto rappresentato finora:

  • non è cresciuta la dimensione media delle imprese;
  • il contesto economico sembra essere meno generoso, specie per le piccole imprese;
  • il grado di complessità nella gestione di un’impresa aumenta.

Uno status quo che invoca un’altra riflessione latina: qui prodest?

Varrebbe a dire: e allora?

A questo punto come poter coniugare il destino delle piccole imprese, artigiane e non? Quale percorso si potrà intraprendere per assicurarne la sostenibilità nel contesto sopra descritto e la complementarità alle imprese più strutturate?

Sono questioni di grande rilevanza. Solo per provare ad abbozzare una possibile soluzione varrà la pena di focalizzarci sulla domanda da parte dei consumatori, sulle aziende e collaboratori gettando un ulteriore occhio alle associazioni lobbistiche, associative e sindacali nonché alla politica ma, soprattutto, a cosa il mercato ed il contesto ci potrà riservare ulteriormente per i prossimi anni.

Insomma, una serie di elementi che argomenta un subitaneo ritorno su un tema, la dimensione aziendale, forse troppo dibattuto negli ambienti accademici e poco, troppo poco, nei contesti operativi. Nel prossimo contributo si tenterà di scendere più a valle, ovviamente dal punto di vista di chi scrive e opera quotidianamente nel mondo delle piccole imprese. A prestissimo.

 

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Umberto Alunni

Giornalista, consulente aziendale, motivatore, scrittore

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