• 9 Febbraio 2025

Banche imprese e finanza: riflessioni e bilanci

 Banche imprese e finanza: riflessioni e bilanci

Banca impresa e finanza ed i cambiamenti che li hanno caratterizzati nel tempo a partire dagli anni 80

Nel forum organizzato da Confindustria Toscana Nord e dal Centro Studi di Confindustria, il 29 settembre a Pistoia, si è voluto esordire con una tematica mai affrontata in modo esplicito nelle precedenti edizioni del seminario residenziale – Le trasformazioni del sistema industriale: la dinamica del rapporto tra banche e imprese dal 1980 ad oggi. Giova rammentare che, in molteplici contesti, l’argomento in questione ha avuto posizionamento da podio, vuoi per frequenza che copiosità di trattamento.

Tuttavia la qualificazione del parterre pistoiese ha fatto la differenza. Si è ripercorsa la storia del rapporto tra banche ed imprese, sottolineando che negli anni ottanta e novanta sono state perse delle occasioni importanti in termini di politica industriale. In molte situazioni si è derogato dalla regola aurea in base alla quale le banche devono allocare le proprie risorse verso le imprese con capacità non solo di rimborso ma anche, e soprattutto, di fecondità nel contesto in cui operano. Questo principio avrebbe dovuto tenersi in debita evidenza nei vari contesti storici inanellati dalle imprese: nella situazione in cui l’ombrello IRI ammantava le inefficienze, nella fase di privatizzazione, nella costruzione delle logiche public company e così via fino ai giorni nostri.

La cartina di tornasole dell’aver potuto far di meglio sta nella inesorabilità dei numeri e nel confronto con gli altri paesi di riferimento: la produttività per addetto, il pil per addetto, il pil complessivo ed altri ancora.

Dal lato delle banche la produzione normativa a cavallo degli anni novanta ha aperto la strada ad un sistema market oriented. Sono conseguite importanti integrazioni, generando una sorta di oligopolio seguito da uno sciame di piccole banche, moltissime delle quali, comunque, sotto l’ombrello di governance ben individuate, come nel caso delle casse rurali.

Nel corso degli anni hanno perso la loro funzione allocativa di risorse verso le imprese, snaturando la loro missione con tipicizzazione della loro attività verso il risparmio gestito. Le motivazioni sono di vario ordine ma le possiamo far coagulare in due filoni:

  • Minore attrazione della erogazione dei prestiti per il maggior capitale necessario in ottica Basilea;
  • Presenza di una riserva aurea, il risparmio libero, con possibilità di trasformarlo in risparmio gestito ed incassare importanti commissioni senza necessità di destinare capitale.

Dal lato delle imprese uno degli aspetti che torna nei ragionamenti con maggior frequenza è la loro contenuta dimensione unitaria media. Troppo spesso ci si rende conto che una imbarazzante dispersione nel numero di imprese porta ad inefficienze non sempre colmabili con il buon senso e l’estro italiano. Secondo l’osservazione storica si sarebbe potuto far di meglio, con maggiore incoraggiamento alla concentrazione senza però incorrere a traumi, considerando il numero importante di lavoratori che le piccole imprese continuano ad assicurare. La domanda è: fino a quando possiamo mantenere lo status quo?

E ancora: è possibile stressare il comparto attivando decisi stimoli verso l’elevazione della dimensione media delle imprese? Sono domande del tutto lecite come è altrettanto lecito non assumere posizioni al netto di condivisioni e riflessioni di carattere politico – sociale.

Ad oggi lo scenario si mantiene complesso con l’ulteriore aggravante dell’aumento dei tassi di interesse. Abbiamo vissuto oltre 10 anni con tassi bassissimi, raccolto liquidità con la complicità del COVID e la garanzia gratuita dello stato. In questo periodo le imprese hanno fatto importanti investimenti, giusto anche il complesso, ma proficuo, impianto normativo dell’industria 4.0. Tutte queste virtuosità e vulnerabilità vanno poi suddivise ed appoggiate sopra i vari clusters di imprese.

Per semplicità definiamo la perimetrazione tra quelle più virtuose e quelle meno. Le prime hanno raccolto risorse destinandole tutte agli investimenti, in parte o prevedendo di farlo nel prosieguo. Le seconde le hanno raccolte e letteralmente sciupate senza che l’impresa le avesse potute almeno percepire.

Per quanto ovvio nel mezzo ci sono le varie interpolazioni.

Lo scenario appare chiaro in tutta la sua lucidità:

  • un sistema di imprese fortemente drogato da un numero troppo elevato di imprese residuali che, purtroppo, invece di diminuire sviluppa un andamento contrario;
  • un sistema bancario che approccia in modo stitico al ruolo fondamentale di corretta allocazione di risorse consegnatogli dalla dottrina e dalla storia;
  • una sempre maggiore distanza dai paesi banchmark – Francia e Germania in primis – in quanto a relazioni, capitalizzazioni, dimensioni e produttività;
  • un PIL che stenta ad incanalarsi verso prospettive di crescita sostenibile.

Un quadro non propriamente consolante ma che, in tutta la sua aridità, lancia un messaggio da cogliere al volo: è opportuno stimolare prese di posizione che abbiano il coraggio di fare un discorso di sistema e non solo di parte.

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Umberto Alunni

Giornalista, consulente aziendale, motivatore, scrittore

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