• 22 Settembre 2023

Settore orafo in ripresa, ma con aliquote troppo alte

 Settore orafo in ripresa, ma con aliquote troppo alte

Stefano Andreis

Continua la ripresa del comparto orafo, che nel 2022 ha fatto registrare una crescita del fatturato pari a 22,1%.  Lo dicono il Club degli Orafi Italia e la Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, che parlano di esportazioni di gioielli made in Italy pari a 9mld di euro

Pandemia, aumento dei prezzi delle materie prime e inflazione non hanno bloccato la creatività di molti artigiani e, al contrario, in tanti hanno investito in bijoux? La redazione di Italia Economy l’ha chiesto a Stefano Andreis, neo presidente di Federpreziosi – Confcommercio.

Dunque, presidente, un mandato in discesa?

Fotografare il mercato non è così semplice. È fuori di dubbio che dopo i mesi bui della pandemia, il mercato, il nostro in particolar modo, è ripartito, seppure con notevoli e sostanziali mutamenti ai danni dei prodotti di oreficeria. Ma come spesso accade, le tendenze sono cicliche e tutto può mutare nell’arco di un semestre. Oggi la gioielliera di gamma medio-alta gode della maggior parte dei consensi dei nostri clienti. In questo caso, occorre fare una precisazione. Il gioiello non può essere inteso quale investimento, bensì come un bene dall’alto valore intrinseco. Bisogna essere chiari su questo concetto per non creare false aspettative in chi si rivolge alle nostre gioiellerie. Inoltre, occorre ricordare che il metallo giallo è riciclabile all’infinito ed è questo un parametro da non sottovalutare quando lo si acquista. È, dunque, un bene decisamente sostenibile. Oggi un anello, domani un bel pendente.  Torniamo ai dati di mercato prendendo sempre a riferimento quanto emerso dal nostro Osservatorio che ogni dodici mesi tira le somme sul reale andamento del mercato domestico. I risultati? Il fatturato complessivo delle gioiellerie in Italia è stimato in poco meno di circa 5 miliardi di euro. Oltre il 40% del fatturato complessivo è prodotto dagli operatori delle regioni del Nord Ovest. Il fatturato dello scorso anno è in crescita rispetto al 2020, ma non ha ancora raggiunto i livelli pre-pandemia. Gli occupati delle gioiellerie in Italia sono 33.890. Le grandi imprese sono lo 0,1% delle gioiellerie italiane e fatturano il 21,3% del totale.

Quanto vi hanno aiutato e vi aiutano le nuove tecnologie? Per esempio, è di supporto l’e-commerce?

L’innovazione di natura tecnologica ha impattato sul nostro essere gioiellieri. Sul modo di operare. Inevitabile. D’altronde, dalla progettazione di un gioiello al suo arrivo sul mercato il digitale è presente con i suoi grandi vantaggi, ma anche con i suoi limiti.

Quali?

Se da un lato può aiutarci a dar forma alla nostra creatività, alle esigenze di un cliente che desidera un prodotto sartoriale, dall’altro, al contrario di altri comparti, nel nostro il cliente desidera toccare con mano l’oggetto prezioso. Maneggiarlo, provarlo e magari guardarsi allo specchio dopo aver ascoltato la storia che un gioiello porta con sé. È questa l’emozione di entrare fisicamente in una gioielleria. I numeri in questo senso parlano chiaro.

E cioè?

Il 91,8% dei consumatori italiani ha acquistato il gioiello in gioielleria – si intende nel negozio fisico della gioielleria- e l’8,2% online. L’effetto industria 4.0, dove l’interazione tra macchina e uomo dà risultati straordinari, nella nostra produzione viene ridimensionato e diventa molto prevalente e incisivo l’effetto che si crea tra uomo e uomo, tra chi vende e chi acquista. In tal senso credo fortemente nella formazione del nostro personale.

Il settore risente della mancanza di manodopera qualificata?

I tentativi in tal senso sono innumerevoli. Non passa giorno che la stampa, di settore e non solo, pubblichi un articolo in cui ci informano di grandi marche o di colleghi sui risultati legati alla formazione specifica di settore. Corsi di avviamento o approfondimento delle dinamiche di settore sono fondamentali per garantire al comparto non solo il futuro prossimo, ma la professionalità nonché le competenze che da sempre contraddistinguono la categoria. Certo, negli anni siamo tutti diventati più consapevoli del ruolo di una formazione specifica di settore in grado di attirare i giovani verso il nostro mestiere. In questo senso ho un sogno nel cassetto: creare un centro di formazione polivalente da avviare in collaborazione con un Ateneo lungimirante che dalla teoria preveda un percorso di natura pratica oltre ad uno stage aziendale finalizzato a creare una figura in grado di gestire, indirizzare le scelte strategiche delle nostre aziende e anche di portare in bottega competenze utili al mercato. Penso a percorsi accompagnati da un diploma di laurea in grado di certificare l’iter formativo.

Dove il made in Italy è particolarmente richiesto e perché?

Parlare di Made in del gioiello italiano per me, che propongo gioielleria realizzata in Italia, significa offrire alla clientela il massimo in termini di creatività, design, accuratezza di realizzazione e finiture che il mondo ci invidia. Ecco questo è per me il Made in. Il mio lavoro di gioielliere al pari di quello dei miei colleghi consiste nel ricercare nei distretti produttivi di Valenza, Arezzo, Vicenza e Caserta, solo per citare i principali, le aziende in grado di soddisfare i miei standard in termini qualitativi. Ma le assicuro che molte volte questi vengono superati dall’eccellenza della produzione che mi viene proposta dai miei fornitori.

In genere quali sono le difficoltà del vostro settore e cosa chiedete alla politica?

L’elenco sarebbe lungo, a partire da una maggior chiarezza – o se vuole chiarimenti – in materia di compravendita di preziosi usati la cui normativa – seppure datata 2017 – presenta ancor oggi degli aspetti di difficile interpretazione per chi come noi gioiellieri da tempo prendiamo preziosi usati, permutandoli con oggetti nuovi o monetizzando monili non più alla moda. Un mio chiodo fisso è quello delle aliquote pesanti come un macigno sui premi delle assicurazioni che stipuliamo per mettere in sicurezza le nostre attività. I nostri magazzini, o se vuole assortimenti, non possono essere paragonati a quelli di altre attività commerciali. Il valore intrinseco è differente. Con il metallo giallo, che ha superato i 60 euro al grammo, è facile, anche senza essere dei contabili, calcolare le cifre in gioco ed i premi in un momento in cui i costi di gestione sono balzati verso l’alto. Dover aggiungere ulteriore denaro per pagare le imposte gravanti sui premi appare essere eccessivo. Il tutto a scapito della sicurezza nostra e dei nostri collaboratori. Potremmo stare più sereni se si sottoscriverà una polizza assicurativa a copertura totale, e non parziale – come troppo spesso avviene a causa dell’elevatissimo costo dei premi assicurativi – e se potremo usufruire di una riduzione delle aliquote fiscali, oggi pari al 22,50%. In passato, si era giunti a definire una proposta legislativa che puntava a regolamentare il materiale gemmologico in materia di certificazione e nomenclatura. Una proposta tesa a far chiarezza in un ramo del comparto fortemente supportata dagli operatori e dal mercato.

Da cosa sarà caratterizzata la presidenza Andreis?

Intanto, il nostro statuto prevede una durata quinquennale degli incarichi associativi. Un tempo necessario e sufficiente per dar corso al programma di lavoro che elaboreremo nelle prossime settimane, dopo la prima riunione del nuovo Consiglio che, oltre a definire la governance dell’associazione, dovrà discutere delle priorità da affrontare in un mercato in rapidissimo cambiamento.  Il dialogo ed il confronto con tutti gli stakeholder del settore caratterizzeranno questa legislatura. L’obiettivo è mettere al centro del dibattito la tutela e la salvaguardia di 13mila gioiellerie del nostro territorio, che hanno bisogno di regole chiare.

Preziosi: come è messa l’Italia rispetto ad altri Paesi europei?

Le rispondo in quanto rappresentante soprattutto del dettaglio, quindi delle gioiellerie presenti sul territorio nazionale, che ogni mattina alzano le serrande con l’orgoglio di mostrare attraverso le proprie vetrine il meglio della produzione dei distretti orafi italiani, (Valenza, Vicenza, Arezzo e Caserta). Sono polo d’attrazione, specie nelle città a vocazione turistica, per i buyer esteri che ritrovano nei nostri gioielli non solo creatività e design, ma una rifinitura, e quindi una manifattura al top. E questa attrattività la noto attorno agli stand dei produttori italiani che espongono nelle fiere mondiali.  Una sensazione che è difficile da spiegare, in cui prevale l’orgoglio di essere nati in una terra unica, magica. Faccio spesso mie le parole di un amico nel mondo della moda di cui non faccio il nome: “Gli altri quando vengono copiati nel mercato parallelo denunciano, io mi riempio di orgoglio perché finché mi copiano, vuol dire che attraggo” e il gioiello italiano oggi è il più guardato e copiato al mondo. Questo significa quanto siamo professionali e creativi in questo contesto.

Qual è il mercato lontano che gli imprenditori del suo settore vorrebbero conquistare?

Ogni mercato per le caratteristiche di un determinato gioiello può essere il più ambito. Da sempre ci siamo fatti valere per le peculiarità uniche che contraddistinguono la nostra produzione e, al di là di problematiche legate ai dazi, mi auguro che la proposta legislativa in fase di discussione in Parlamento, relativa all’adesione della Repubblica Italiana alla Convenzione sul controllo e la marchiatura degli oggetti in metalli preziosi, fatta a Vienna il 15 novembre 1972, una volta approvata possa rappresentare un importante strumento di semplificazione delle procedure doganali. Vorrei concludere, visto che mi chiede di mercati lontani da conquistare. I dati ci vedono protagonisti assoluti nei nostri confini, la professionalità dei nostri operatori non lascia spazi alle imprese straniere di inserirsi quali competitor all’interno del nostro mercato, cosa da non sottovalutare e che dà certezza a tutta la filiera di settore di cercare spazi oltre confine di nuovi mercati.

Per chiudere, qualche dato sull’associazione che guida.

Il nostro sistema conta sulle articolazioni del sistema Confcommercio, presenti sul territorio nazionale, al quale aderiscono circa 7mila gioiellerie al dettaglio nonché operatori della filiera dalla produzione alla distribuzione e all’ingrosso. Non abbiamo soci diretti, bensì associazioni del territorio che si riconoscono in Federpreziosi. Un sistema che agevola notevolmente il dialogo con gli operatori e offre loro la possibilità di una consulenza integrata. Le ultime rilevazioni del nostro Osservatorio indicano in circa 13mila i punti vendita distribuiti sul territorio con una prevalenza di gioiellerie nel Lazio, in Lombardia ed in Campania dove è presente circa il 40% delle vetrine del Paese. Un numero importante anche se la flessione si è fatta sentire negli ultimi dieci anni con una perdita consistente di operatori per la difficoltà nel cambio generazionale e il riassetto del settore economico al dettaglio, vittima spesso della desertificazione dei centri urbani che ha lasciato a terra circa quattromila gioiellerie. Negli ultimi anni, subito dopo il lockdown, le aperture hanno compensato le chiusure.

Italia economy - Settore orafo in ripresa, ma con aliquote troppo alte
Federpreziosi – Assemblea

 

Cinzia Ficco

 

 

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