Lamborghini, people and culture
Abbiamo incontrato Umberto Tossini Chief People and Culture Officer Automobili Lamborghini, per parlare delle persone che ogni giorno contribuiscono al successo dell’azienda
Tossini, membro del Board di Automobili Lamborghini (sito web), è nato ad Avellino nel 1967 e ha conseguito una laurea in Giurisprudenza con lode presso l’Università Luiss di Roma. Prima di arrivare in Lamborghini ha ricoperto incarichi di crescente responsabilità in gruppi multinazionali, tra cui Vodafone e Fiat Auto.
Il settore delle supersportive non conosce la crisi e gode del privilegio di appartenere a un mondo in espansione: la ricerca del lusso, la propensione al consumo e alla personalizzazione si è accentuata durante la pandemia.
Questo permette di attuare politiche di redistribuzione in favore di tutti i dipendenti. Nel 2022 Lamborghini ha fatturato 2,38 miliardi di euro (+21 per cento rispetto al 2021); nel primo semestre del 2023 il risultato operativo di 456 milioni di euro (rispetto ai 425 milioni del 2022) conferma il trend di crescita.
Direttore del Dipartimento People and Culture: cosa ha guidato la scelta di questa definizione?
«La gestione delle persone è un elemento chiave per il successo di ogni azienda. Per noi le persone rappresentano un asset fondamentale su cui basare la nostra strategia, ma d’altro canto di cui occuparci quotidianamente, non solo in termini di formazione professionale sul prodotto o di retribuzione, ma a 360 gradi.
Da questa consapevolezza, ad esempio, è nato il programma 4US: abbiamo sviluppato una strategia olistica per il benessere delle persone e l’abbiamo declinata in un programma che si articola su tre elementi: benessere del corpo (body), benessere della mente (mind) e importanza dei fattori motivanti (purpose)».
Benessere del corpo e della mente sono concetti abbastanza comprensibili, mentre è interessante approfondire come definite i fattori motivanti.
«Per la prima volta nel mondo occidentale abbiamo cinque generazioni attive al lavoro. Alla guida delle aziende ci sono oggi persone prevalentemente sintonizzate su un modo tradizionale di lavorare, che però non possono e non devono ignorare il compito di passare il testimone a chi ha un approccio e fattori motivanti molto differenti dai loro.
Per farlo non è sufficiente togliersi la cravatta, occorre veramente comprendere le nuove generazioni, le loro aspettative e la visione del mondo che cercano di realizzare attraverso il contributo professionale.
Ciò che motiva, oggi come e più di ieri, va oltre la posizione offerta e la retribuzione correlata e comprende valori sociali e personali come l’etica, il bilanciamento tra lavoro e vita personale e l’uguaglianza di genere, solo per fare alcuni esempi».
Quindi l’attenzione alle persone e alle loro motivazioni favorisce il successo di un’azienda?
«Certo, l’obiettivo è far sì che le motivazioni individuali, quelle relative al mondo interiore della persona che spingono a dare il meglio, possano riconciliarsi con un senso collettivo, che è quello di una azienda-istituzione che riconosce in modo corretto il contributo di ciascuno.
Ogni generazione interpreta il lavoro in modo diverso e indubbiamente le nuove generazioni valutano l’affinità tra la visione aziendale e le proprie aspettative. Questo sentire va oltre le tradizionali politiche di welfare, basate su norme che permettono di offrire “pacchetti” beneficiando di sgravi fiscali (come per esempio i cd. flexible benefits a scelta del dipendente entro una soglia di valore).
Il benessere delle persone è per noi qualcosa di più ampio, che ha a che fare con la libertà che ogni azienda ha di destinare risorse su una iniziativa più sentita dalle persone rispetto a un’altra.
Noi, per esempio, offriamo gratuitamente assistenza per il benessere psichico, check up gratuiti per rischi specifici – tra cui la prevenzione oncologica in orario di lavoro –, sostegno e corsi di coaching per i neogenitori, giornate con attività dedicate ai figli dei dipendenti e attività sportive al Parco Lamborghini».
In quanto donna mi domando se si possa parlare di vera uguaglianza in un contesto in cui è necessario stabilire per legge o per contratto una percentuale minima di presenza femminile nel mondo del lavoro, soprattutto in ambito manageriale. Cosa ne pensa a riguardo?
«La gender equality è un argomento decisamente urgente. Se si comparano i tassi di crescita reali agli obiettivi di inclusione declinati dalle Nazioni Unite si vede una discrasia incolmabile senza misure straordinarie.
Le politiche di protezione, supporto e sostegno alle donne e alle minoranze nelle organizzazioni servono ad accelerare la convergenza tra mutamento culturale e sensibilità delle persone nell’organizzazione, a vantaggio di una transizione tempestiva rispetto ai bisogni sociali ed economici.
Certo, l’uguaglianza di genere si potrà considerare raggiunta nel momento in cui ne sentiremo meno l’urgenza per averla realizzata nei fatti, ma siamo ben lontani da quel momento e fino ad allora occorrerà supportarla».
La recente pandemia ha modificato il contesto di riferimento?
«Il mercato del lavoro si è molto modificato dopo il Covid, lo dicono i fatti. Sul profilo demografico c’è stata una incredibile accelerazione.
Ci si aspettava che il confronto tra scarsità dell’offerta di lavoro e la domanda da parte delle imprese raggiungesse un punto di disequilibrio in Italia nel 2035 e, invece, lo ha raggiunto ora perché, a causa della pandemia, l’attitudine delle persone e i fattori motivanti sono cambiati.
La presa di coscienza scaturita dall’aver interrotto bruscamente routine invariate nei decenni ha fatto emergere in maniera prepotente il desiderio di una migliore qualità della vita.
In questa visione l’attitudine workaholic tramonta inesorabilmente a favore di uno stile di vita più sostenibile, in cui l’aspetto economico e il prestigio della posizione sono solo una parte di un tutto che include il tempo per sé stessi, la qualità dell’ambiente di lavoro e la responsabilità sociale dell’azienda in cui si sceglie di lavorare.
Non è possibile prevedere quanto velocemente questa esigenza si diffonderà in tutti gli angoli del pianeta, poiché purtroppo molti non hanno ancora raggiunto uno standard minimo di vita accettabile, ma nel mondo occidentale abbassare le condizioni di ingaggio non è più un’opzione, e lo dico con gioia, perché questo impegna tutti a costruire una società più giusta.
A differenza di alcuni decenni fa, l’azienda e il dipendente si scelgono a vicenda».
Come si affronta in Lamborghini la definizione delle proposte di ingaggio?
«Se lo diciamo in termini economici, il mercato del lavoro si è trasformato da un mercato del venditore (qualunque cosa vendo c’è qualcuno disposto a comperarla) in un mercato del compratore.
Quindi, la persona, se ha le competenze necessarie, sceglie di lavorare per un’azienda. La proposta di ingaggio è dunque decisiva per essere scelti. Il cd. Smartworking è la punta dell’iceberg di questo nuovo equilibrio perché permette di conciliare meglio tutte le esigenze della vita individuale.
Uno dei valori di Lamborghini, l’autenticità, si esprime anche nel fatto che il dipendente non deve nascondersi dietro uno schema, ma può esprimere i propri bisogni, all’interno dei quali ce ne sono alcuni primari e, quindi, condivisi tra azienda e lavoratore».
Come si seleziona una persona tramite un colloquio?
«È un esercizio molto raffinato fatto di tecniche, ma anche di intuito e qualità personali del selezionatore.
I test tradizionali, come quelli della personalità e del quoziente intellettivo, si mixano con prove in cui l’esperienza del selezionatore fa la differenza: differenti step di selezione, che nel caso di posizioni manageriali arrivano all’assessment centre, attraverso i quali un fine osservatore riconosce linguaggio, stile, modalità espressiva e lo ricollega a un modo di essere.
La valutazione non sarà mai perfetta, ma si cerca di avvicinare il più possibile il profilo del candidato a quello della ricerca, confrontandoli così da cercare di sovrapporli. In questo processo di selezione le soft skills dei candidati sono importanti tanto quanto (se non addirittura di più) delle competenze tecniche specifiche.
Usare il proprio tempo in modo generoso, facendo ogni esperienza possibile per aiutare la crescita personale, vivendo ogni passione, sia essa la musica, lo sport oppure l’arte, non per cercare la massima performance, ma il divertimento e l’arricchimento, è il modo migliore per sviluppare soft skills che non si apprendono attraverso le lezioni frontali universitarie, ma che concorrono in modo fondamentale alla formazione di una personalità equilibrata.
Anche il volontariato è molto formativo, aiuta a scoprire il valore autentico di ciò che si fa».
In Lamborghini il contributo dei blue collar è certamente determinante per il successo aziendale. Come si è evoluta questa figura?
«Una volta la professionalità dei blue collar spesso si formava sul campo, alla personalità del singolo non era attribuita grande importanza.
Nel tempo il valore del contributo offerto dagli operai ha avuto giustamente una grande accelerazione: si parla di tecnici specializzati, capaci di gestire digitalmente un processo che non è più parcellizzato come nell’organizzazione fordista, con una catena di montaggio, in cui si chiedeva unicamente molta precisione e velocità di esecuzione.
Oggi servono competenze professionali distinte per ogni ruolo e la qualità del lavoro svolto è certificata digitalmente. Non essere istruiti non è più una opzione. La formazione scolastica offre sbocchi professionali molto soddisfacenti con uno sforzo ragionevole.
Serve il coraggio di guardare questa nuova realtà senza il preconcetto ottocentesco della divisione classista, riconoscere il valore degli istituti tecnici, senza passare necessariamente per l’università.
L’attuale diversificazione dei ruoli andrebbe maggiormente sfruttata, così come dovrebbe esserlo l’eclettismo di un percorso universitario.
Consiglierei, per esempio, di far seguire a una triennale in meccanica una specialistica in gestionale o in elettronica perché il mondo del lavoro attuale ricerca manager a tutto tondo.
Una volta ci si specializzava fin dall’inizio, mentre oggi chi ha il coraggio di percorrere strade alternative avrà grandi soddisfazioni, troverà subito un impiego e raggiungerà l’indipendenza economica, con enormi possibilità future di approfondire.
Molte aziende favoriscono il proseguimento degli studi: nel nostro contratto aziendale le ore annue riconosciute per l’istruzione sono state incrementate per incoraggiare la scelta di investire su sé stessi.
Inoltre, in ottica meritocratica, se un dipendente ottiene un titolo di studio, esiste in busta paga un elemento retributivo aggiuntivo fisso (il cd. plusvalore cognitivo) anche se il titolo di studio non è attinente alla professione svolta».
In Lamborghini ci sono iniziative specifiche a favore della formazione?
«Ne abbiamo varie: posso citare DESI (Dual Education System Italy), un percorso formativo biennale che, ispirato al modello duale, combina la teoria scolastica con la formazione pratica in azienda; ma anche MUNER (Motorvehicle University of Emilia-Romagna), che abbiamo contribuito a fondare anni fa assieme ad altri brand, un hub per la formazione d’eccellenza in collaborazione con le principali aziende automotive del territorio e importanti università della regione.
Un esempio ne è la collaborazione con l’Alma Mater Studiorum per il corso Advanced Automotive Engineering.
Inoltre, sosteniamo come soci fondatori l’ITS Maker, l’Istituto Superiore Meccanica, Meccatronica, Motoristica e Packaging dell’Emilia-Romagna, che realizza percorsi biennali post diploma in vari settori (l’alimentare, la meccatronica, i materiali leggeri) che puntano sulle conoscenze di ricerca applicata e possono essere paragonati a una laurea breve.
Abbiamo anche importanti partnership, tra cui il MIT di Boston e la Scuola di Management dell’Università di Bologna (BBS), in cui, all’interno del Master SuperCar, il corso New Product Development in the Motor Industry è tenuto da Maurizio Reggiani, VP Motorsport di Lamborghini, assieme a Riccardo Parenti, che è responsabile dell’architettura veicolo delle Lambo.
Siamo infine sponsor e mentor del team UniBo della Formula SAE».
Lamborghini è Top Employer, ha ottenuto il GenderEquality & IDEM Certificate e la certificazione UNI/PdR 125:2022. Qual è il significato di questi riconoscimenti?
«Il nostro approccio è da sempre quello di farci certificare da esperti ed enti indipendenti gli sforzi di innovazione e cambiamento: auditors versati nei diversi campi di azione verificano i comportamenti aziendali rispetto a politiche ben definite, le misurano attentamente prima di rilasciare qualunque attestato.
Queste certificazioni confermano la considerazione in cui noi teniamo il valore rappresentato dalle nostre persone.
Siamo Top Employer da dieci anni consecutivi e abbiamo deciso di avvicinarci ad acceleratori della gender equality avvalendoci della start up IDEM.
Con l’intento di verificare se le politiche messe in atto potessero essere validate tramite una certificazione, ci si è resi conto che il livello di maturità permetteva di accedere alla certificazione, che abbiamo ottenuto come prima azienda automotive in Italia.
A questa è seguita la UNI/PdR 125:2022, promossa dal Governo italiano. Ogni certificazione attiva un circolo virtuoso: il percorso che porta al suo ottenimento in genere evidenzia che esistono margini di miglioramento e magari tecniche o obiettivi trascurati in un primo momento; questo stimola a mettere in atto tutto quanto è possibile per migliorare il posizionamento complessivo nel quadro di ogni certificazione ottenuta.
Siamo orgogliosi di questi traguardi, che sono gli stessi di altre aziende che hanno a disposizione risorse ancora più ingenti delle nostre. Il nostro obiettivo, che nutre il senso di appartenenza e la soddisfazione delle nostre persone, è quello di realizzare un contesto di lavoro davvero equo e inclusivo».