PMI e conciliazione vita-lavoro: un problema ancora solo femminile?

Le PMI come protagoniste del cambiamento per superare la “questione femminile” nell’armonizzare vita professionale e personale
Negli ultimi decenni abbiamo assistito a tantissimi cambiamenti nel mondo del lavoro, sia dal punto di vista pratico, con la nascita di nuove mansioni e professioni spinte dallo sviluppo di sempre più raffinate tecnologie, sia dal punto di vista metodico, con nuovi paradigmi manageriali e comunicativi. Infine, anche dal punto di vista della mentalità.
Da molto tempo si è avviata una proficua discussione sull’importanza del benessere psicofisico dell’individuo all’interno dell’ambiente lavorativo: l’esperienza prima e gli studi poi, hanno dimostrato che lavorare in un ambiente sano, sereno e sicuro – sia fisicamente che mentalmente – ha ripercussioni positive sulla qualità delle prestazioni professionali, della vita privata e, a cascata, sull’equilibrio della collettività.
Uno dei temi protagonisti di questo dibattito è rappresentato dalle norme dedicate alla conciliazione vita-lavoro: con questo termine si intende il complesso delle misure adottate dalle imprese al fine di favorire il corretto equilibrio tra vita professionale e personale.
Le piccole e medie imprese Italiane, da sempre al contempo riflesso e motore dei cambiamenti della società, affrontano già da anni varie forme di riorganizzazione interna volte a facilitare il raggiungimento di un adeguato work-life balance, sia per imprenditori che per dipendenti e collaboratori. In questo articolo vorremmo porre le basi per una riflessione di carattere generale su quanto però questo tema sembri ancora in larga parte una “questione femminile”.
Vita familiare e lavoro: chi porta il carico maggiore?
Bastano pochi minuti di consultazione di statistiche e ricerche degli organi competenti per sapere che, in Italia, le donne occupate sono una percentuale minore rispetto agli uomini e che a parità di mansioni percepiscono ancora spesso compensi minori. Questo è il macrocontesto di partenza nel quale si inserisce la riflessione sul peso rappresentato dalla gestione della vita familiare.
Secondo il report di Save the Children relativo allo scorso anno in Italia una lavoratrice su cinque esce dal mercato del lavoro dopo essere diventata madre. Banale sottolineare che lo stesso dato non si riscontra per i lavoratori che diventano padre.
Le donne che decidono di avere figli, in un paese che tra le altre cose denuncia un certo allarmismo per decrescita della natalità, sono quindi terribilmente penalizzate nella loro carriera. E per carriera non intendiamo necessariamente scalare i vertici aziendali di multinazionali: questa realtà è trasversale e riguarda ogni settore e quadro aziendale. Se si lascia la propria posizione lavorativa per maternità, tornare non sarà così scontato. Questo principalmente per due motivi, entrambi gravissimi: da una parte, accanto a realtà aziendali oneste, esistono ancora imprese che attuano sistemi illegali per scoraggiare o impedire il rientro delle madri che si assentano per dedicarsi alla gravidanza e ai primi mesi di vita dei figli; dall’altro, seppur le donne abbiano la possibilità di “ritrovare” il proprio posto di lavoro alla fine del termine del periodo di maternità, spesso non riescono a riprendere a lavorare regolarmente e a tempo pieno a causa della gestione degli impegni legati alla famiglia.
Entrambi i motivi sono preoccupanti e a livello socioculturale è forse il secondo quello che ci impone più riflessioni, perché ci parla di una società nella quale la cura dei figli è ancora maggiormente – se non totalmente – a carico della madre.
A causa di servizi per l’infanzia spesso inadeguati, chi in Italia decide di formare una famiglia si trova frequentemente a dover contare su una solida rete di aiuti esterni per assicurare un’esistenza serena e dignitosa al proprio nucleo. Il sacrificio più importante sembra ricadere in maniera sproporzionata sulle donne.
Attenzione, non stiamo parlando di chi sceglie consapevolmente di mettere da parte il lavoro per dedicarsi alla famiglia: scelta lecita come qualunque altra, ove possibile. I dati ci parlano di donne che sono costrette da fattori di varia natura a smettere di lavorare o a ridurre i propri orari – e di conseguenza i propri stipendi.
Sempre dal rapporto di Save the Children: “(…) nel nostro Paese solo il 6,6% degli uomini che lavora, lo fa a tempo parziale, rispetto al 31,3% delle lavoratrici, che per la metà dei casi (15,4%) subisce un part-time involontario. Tra coloro che hanno figli, aumenta notevolmente la percentuale di donne impiegate a tempo parziale (36,7%) rispetto a quelle senza figli (23,5%)”.
Si tratta, in pratica, di una discriminazione nella discriminazione: non solo le lavoratrici sono più soggette al part-time involontario per il solo fatto di essere donne, ma lo sono ancora di più nel momento in cui decidono di diventare madri.
Il problema, oltre ad essere legislativo, è chiaramente culturale: la strada verso una vera parità di genere è ancora lunga.
E le PMI che ruolo possono avere in tutto questo?
Un ruolo enorme, proprio grazie alla loro capillarità territoriale, alle loro dimensioni medio piccole e quindi più che mai in contatto con le realtà familiari.
Oltre alle misure più note e assolutamente utili come la possibilità di orari flessibili, smart working e benefit aziendali volti ad aiutare le famiglie – tutte misure che devono comunque essere incentivate e finanziate anche dal governo centrale – sarebbe bello immaginare imprese che si adoperano per un cambiamento a 360°: per esempio improntando la gestione manageriale su veri valori di inclusività e parità, favorendo il dialogo e il confronto, valorizzando la ricchezza di ogni individuo in ogni fase della sua vita – anche quella della maternità e paternità – e magari andando ancora oltre, organizzando eventi e incontri incentrati sulle tematiche dell’uguaglianza di genere e sull’importanza (e bellezza) di una gestione familiare condivisa.
Come società dobbiamo compiere ancora molti passi avanti per far sì che il lavoro sia strumento di crescita e valorizzazione per tutte e per tutti e che le responsabilità legate alla famiglia siano equamente divise tra i suoi membri.
Le PMI potranno interpretare questa necessità di cambiamento dimostrandosi ancora una volta vicine al mondo “reale”, creando le basi per un futuro imprenditoriale più soddisfacente, ricco e di successo.
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