NBFC: La biodiversità genera valore

Lanciato nel 2023, a Palermo, il National Biodiversity Future Center (NBFC) è il primo centro di ricerca italiano sulla biodiversità. Abbiamo intervistato il e direttore scientifico Massimo Labra
Il Centro si concentra sul Mediterraneo, un hotspot di biodiversità al centro del quale è il nostro Paese, affronterà sfide globali relative alla protezione e al ripristino degli ecosistemi marini, costieri e terrestri italiani, contribuendo a raggiungere i traguardi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Come nasce il NBFC e quali sono i suoi obiettivi?
«Il Centro nasce dall’idea di tutelare e valorizzare la biodiversità e di portarla nella nostra vita, nonché sulla spinta della legge costituzionale 1 del 2022 che prevede che la tutela dell’ambiente e della biodiversità diventino parte integrante delle politiche nazionali. Oltre alla nostra Costituzione ci sarebbe una legge europea molto importante, la Nature Restoration Law che mira a ripristinare almeno il 20 per cento delle aree terrestri e marine entro il 2030 e a recuperare completamente gli ecosistemi degradati entro il 2050. Attualmente, solo il 17 per cento delle aree è conservato, un dato troppo basso.
È necessario raggiungere almeno il 30 per cento delle aree terrestri e marine per garantire un supporto e una resilienza agli ecosistemi, invertendo così il declino della biodiversità. Proteggere gli ecosistemi significa inoltre garantire che le generazioni future possano continuare a godere dei benefici derivanti dalla natura».

Sono quattro le linee in base alle quali il Centro ha deciso di lavorare. Ce le può illustrare?
«Le prime tre sono classiche: monitorare, conservare e ripristinare. Il monitoraggio è un modo per prevenire la perdita di una specie o di un ecosistema ed è un elemento fondamentale per evitare il degrado e la contaminazione ambientale. Conservare vuol dire pensare a nuove strategie, atte a proteggere le specie non solo nei parchi e nelle riserve, ma anche in piccole aree urbane e in territori marginali. Ripristinare vuol dire ristabilire le funzioni di un ecosistema e riportare la natura dove era.
Significa generare una foresta matura da un’area boschiva oppure lavorare su una ex-area industriale e riportare la biodiversità, partendo dalle piante per poi richiamare gli animali e tutti gli organismi dell’ecosistema. La quarta linea di lavoro consiste nel valorizzare la natura: l’Italia possiede più del 50 per cento delle specie vegetali di tutta l’Europa e 80mila specie animali. Da qui la necessità di creare valore da questa moltitudine di forme viventi, che offrono risorse eccezionali come materiali sostenibili o sostanze nutritive e che sono di ispirazione per creare nuove tecnologie e per individuare nuove produzioni industriali».
Qual è il contributo che il Centro può dare ai giovani e all’occupazione?
«Tutto il nostro lavoro si concentra sui giovani e sulla creazione di lavori basati sulla sostenibilità ambientale, biologica ed energetica. Tutti i green jobs hanno tre valori condivisi. Innanzitutto non hanno differenze di genere e contrastano le differenze generazionali, essendo professioni aperte a persone di qualsiasi età e fornendo la possibilità di reinventarsi.
Puntiamo a formare professionisti come il manager della biodiversità, il tecnologo del verde o il pianificatore urbano, il biotecnologo delle biomasse di scarto, ma anche l’esperto di turismo sostenibile e di benessere della persona. Inoltre, non hanno disparità geografiche, perciò una figura professionale green può lavorare ovunque, dalle capitali europee sino alle aree più marginali dell’Italia, contribuendo anche a sanare le disparità tra nord e sud del Paese.
Sui green e blue jobs cerchiamo di creare dei rapporti tra i giovani che formiamo e le aziende. I settori target vanno dalla pesca all’acquacoltura sino alle tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale, la biorobotica e le nano e biotecnologie».
In cosa consiste il lavoro dello Spoke 7 su comunicazione e impatto?
«Lo Spoke 7 lancia una riflessione sui linguaggi della biodiversità e della sostenibilità, per non cadere nella banalità e per non etichettare qualsiasi cosa come sostenibile. Sostenibile è ciò che può durare nel tempo. Partendo da questa premessa, dobbiamo sviluppare strategie per agire sulla natura, che non siano solo dei proclami ma che generino consapevolezza e impegno. Altro grande tema è la partecipazione, perché la sfida la vinciamo se ogni cittadino fa dei piccoli gesti e se la proprietà pubblica viene presa a cuore anche dai privati.
Se vedo che un albero davanti a casa mia sta soffrendo mi devo sentire in dovere di prendermene cura. A volte basta anche solo bagnarlo. Noi vorremmo uscire dall’idea che la sostenibilità e la biodiversità siano qualcosa di costoso per il Paese e per i contribuenti e che si debba sempre intervenire con il Terzo Settore: esso è fondamentale ma non può essere lasciato da solo. La biodiversità genera valore non solo sul benessere dell’uomo ma anche sul Pil».
A febbraio 2024 è partito presso la Sapienza di Roma il master One Health, promosso proprio dal NBFC. Di cosa si tratta?
«Esiste una stretta correlazione tra ambiente, biodiversità e salute. Ormai i dati ci dicono che le malattie multifattoriali che colpiscono gli over 65 – e non solo – non hanno una causa genetica o una sola causa, ma spesso sono determinate da quello che si chiama esposoma, ossia l’insieme dei fattori ambientali e degli agenti patogeni a cui ciascun individuo è esposto nel corso della propria vita: sostanze inquinanti, stress ambientali, stress termici.
Il tema è come generare un ambiente migliore, in cui garantire la salute dell’uomo e di tutti gli altri organismi. Il master vuole permettere agli studenti di fare pianificazione, gestione e monitoraggio di contesti antropizzati, per riuscire a garantire un ambiente più consono alla vita umana e agli organismi viventi. Noi non siamo un elemento a sé ma siamo parte di un sistema. Migliorare l’ambiente e migliorare la biodiversità serve quindi a migliorare anche il benessere dell’uomo».