Blue Economy, l’economia che viene dal mare
La Blue Economy spinge a compiere un cambiamento di vedute che parte dalla considerazione che tre quarti del pianeta è costituito da risorse acquatiche. I suoi principi si ispirano al funzionamento degli ecosistemi naturali dove nulla è sprecato e tutto viene riutilizzato all’interno di un processo che trasforma i rifiuti di un ciclo in materie prime di un altro ciclo. Per questo la crescita blu ha una visione a lungo termine
L’economia che parte dal mare offre anche importanti modelli di gestione, produzione e consumo e soprattutto crea lavoro. Nel nostro paese 228 mila sono le imprese della Blue Economy che offrono lavoro a quasi 914 mila persone. Generano un valore aggiunto di 52,4 miliardi di euro che arriva a 142,7 miliardi se si considera l’intera filiera diretta e indiretta. Il settore è in crescita e tra il 2022 e il 2021 la base imprenditoriale del sistema mare è incrementata dell’1,6%, le esportazioni sono cresciute del 37% e il valore diretto prodotto è aumentato del 9,2% tra il 2021 e il 2020.
Questi sono i dati contenuti nell’XI Rapporto sull’Economia del Mare dell’Osservatorio Nazionale sull’Economia del Mare OsserMare di Informarecon il Centro Studi Tagliacarne–Unioncamere presentato lo scorso maggio. Si tratta di uno studio per conoscere e anche verificare i movimenti dei mercati del sistema mare che sono necessari a definire lo scenario e la strategia marittima della nostra nazione. Le analisi del rapporto rilevano il peso dell’economia del mare, in termini produttivi, imprenditoriali e occupazionali e il suo ruolo nel panorama nazionale ed europeo, valutandone le variazioni nel tempo.
Nel rapporto si evidenzia che il valore diretto prodotto dal sistema mare rovescia la tradizionale dicotomia Nord-Sud. Sono il Centro e il Mezzogiorno, infatti, a sviluppare il 61% della ricchezza del settore nel 2021, contro poco più del 44% dell’intera economia. In particolare, con oltre 16 miliardi di euro di valore aggiunto il Centro contribuisce per il 31,1%, mentre il Mezzogiorno, con oltre 15 miliardi di euro, pesa per il 30%. Seguono il Nord-Ovest (20,7%) ed il Nord Est (18,2%).
Per quanto riguarda le tipologie di imprese, circa una impresa blu su dieci è capitanata da under 35 e oltre una su cinque è coordinata da donne. Nel Mezzogiorno e nel Centro si concentra più del 74% delle attività imprenditoriali del sistema mare (rispettivamente il 48,4% e il 25,9%). Il Lazio è la prima regione in Italia per numero delle aziende blu con 35.241 unità, seguita da Campania (32.449) e Sicilia (28.640).
Se invece si considera l’incidenza delle imprese del mare sul totale del sistema imprenditoriale regionale, al primo posto si colloca la Liguria con un peso del 10,5%. Dietro alla Liguria vengono la Sardegna (7,2%) e la Sicilia (6,0%). Dal punto di vista settoriale, poco meno della metà delle aziende blu, (il 47,8%), opera nel settore dei servizi di alloggio e ristorazione. A grande distanza le attività sportive e ricreative con 34.363 imprese (il 15,1%) e la filiera ittica con 33.242 imprese (il 14,6%) la cantieristica con 28.583 imprese (circa il 12%).
Secondo le analisi del report, il sistema mare ha dimostrato di sapere reagire meglio degli altri comparti alle difficoltà e il tessuto imprenditoriale ha superato con più slancio i livelli pre-Covid registrando un aumento del 4,4% nel 2022 rispetto al 2019, a fronte di un calo dell’1,2% del totale delle imprese nello stesso periodo. Italia Economy ha chiesto a due autorevoli personaggi che operano prevalentemente nel Sud del nostro Paese, di raccontare un’esperienza sul ruolo dell’economia blu nel loro specifico comparto.
Per Silvestro Greco della Stazione Zoologica di Napoli, il Mediterraneo è al centro di un progetto particolare che evidenzia, partendo dallo studio delle coste della Calabria, come stanno nascendo potenziali modelli di ricerca e sviluppo economico per gli ecosistemi dei nostri mari.
“Numerosi sono i progetti con ampie ricadute sull’economia blu. Segnalo Il progetto CRIMAC BluCaProd, che studia lo stato ecologico delle coste calabresi per conservarne la biodiversità favorendo una crescita blu dell’economia locale.
Si tratta di un progetto scientifico all’avanguardia che utilizza un approccio multi-disciplinare e, coinvolgendo molte università Italiane, punta a risultati di eccellenza nel campo dell’ecologia, per favorire una crescita “blu” dell’economia calabrese, utilizzando tecniche all’avanguardia e cooperazioni internazionali.
Spostando l’attenzione al settore portualità e trasporti marittimi, le misure verso la sostenibilità e la transizione energetica sono diffuse nei nostri porti e comprendono anche la logistica e le infrastrutture portuali anche al servizio della crocieristica, oltre che del commercio. Mario Mega è presidente dell’Autorità di Sistema portuale dello Stretto di Messina dal 2019, prima ancora ha rivesto il ruolo di dirigente tecnico dell’Autorità di Sistema portuale del Mare Adriatico meridionale.
“Il rapporto da un lato conferma come l’economia legata al mare sia ormai un settore trainante dell’economia europea, ma dall’altro come sia ancora poco resiliente e fortemente influenzata da condizionamenti esterni come quelli rappresentati negli anni più recenti dalla pandemia e dal conflitto russo-ucraino.
Le politiche di sostegno europeo devono essere colte nella loro visione strategica più ampia, che non è solo quella di sostenere la lotta al cambiamento climatico, ma di spingere verso un nuovo modello di società che partendo dall’utilizzo di fonti di energia rinnovabile legate al mare punti su di esso come strumento per la crescita di nuove opportunità di lavoro.
L’Italia non può farsi trovare impreparata a queste sfide poiché queste politiche tenderanno a spostare il baricentro dell’economia europea verso sud e gli ottomila chilometri di costa al centro del Mediterraneo possono costituire una opportunità di sviluppo soprattutto per le regioni del Mezzogiorno, spesso tagliate fuori, nei decenni passati, dai grandi processi di industrializzazione. Il recente lancio del Piano Nazionale del Mare può costituire un buon punto di partenza, ma occorre che non resti un documento di buone intenzioni.
Per portare il Paese a diventare il motore della Blue Economy del Mediterraneo occorrono investimenti importanti e calibrati che consentano di passare davvero dallo sfruttamento del mare e delle coste alla loro valorizzazione produttiva”.
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