Run Time Solutions: innovare per semplificare e adattare l’innovazione a ogni contesto aziendale
Un modello o prototipo innovativo e vincente non è possibile replicarlo per ogni PMI. È necessario trovare la soluzione adatta al bisogno, diverso, simile o uguale che ogni impresa richiede. Con questo spirito Run Time Solutions da 30 anni guida i clienti al cambiamento e all’innovazione attraverso soluzioni specifiche per ogni esigenza
Mario Barone, Ceo e Founder della società, ci ha descritto come insieme al suo team aiuta le aziende a migliorare i flussi e i processi lavorativi.
Come definite «innovazione» in Run Time Solutions e come si traduce in valore concreto per i vostri clienti?
«Per noi innovare significa semplificare, rendere semplice ciò che è complesso e trasformarlo subito in valore concreto per la PMI. Non inseguiamo la tecnologia fine a sé stessa, il nostro obiettivo è aiutare le imprese a lavorare meglio ogni giorno, velocizzando i processi, riducendo gli errori e migliorando l’affidabilità dei dati. Il valore reale nasce da soluzioni pratiche, da risultati tangibili e immediati. Le PMI hanno bisogno di rapidità d’azione, di motivazioni e soprattutto di riscontri concreti, e proprio qui entra in gioco il valore delle persone e dei processi».
Su quali priorità investite tra persone, processi e tecnologie quando i budget delle PMI sono limitati?

«Quando le risorse sono limitate, bisogna saper scegliere dove investire, prima sulle persone, poi sui processi e infine sulla tecnologia. Il fattore umano è determinante, senza competenze non si va da nessuna parte e i progetti non funzionano. È un asset imprescindibile. Poi arrivano i processi, la nostra ricetta è procedere per piccoli passi concreti, così da generare valore visibile fin da subito. Solo quando il risultato è percepito, nasce fiducia e si crea un percorso di miglioramento continuo».
Quali sono le principali resistenze al cambiamento che incontrate nelle PMI italiane e come si possono superare?
«La prima resistenza è proprio la paura del cambiamento, un muro che va smontato, a volte con energia dirompente. Molti temono di bloccare le attività quotidiane, altri non dispongono di competenze interne adeguate, e questo rallenta il percorso. Per questo affianchiamo le aziende direttamente, anche con figure di temporary manager, quando serve un supporto operativo. Prima di proporre una soluzione software, cerchiamo sempre di capire che cosa deve realmente aiutare a fare meglio. È un approccio che parte dal risultato atteso e lavora a ritroso, per costruire tutto ciò che serve per raggiungerlo. Come diceva Stephen Covey, bisogna iniziare avendo chiaro l’obiettivo finale. Il software è solo una parte del percorso, accanto ci sono organizzazione, visione imprenditoriale e cultura del cambiamento. Noi ci poniamo come partner a tutto tondo, accompagnando i clienti lungo tutto il viaggio”.
Competenze: quali profili saranno decisivi nei prossimi tre anni e come li sviluppate?
«Oggi il valore aggiunto arriva da competenze ibride, capaci di unire conoscenze tecniche e capacità di governo del cambiamento. Non credo più nella figura iper-specialista, servono persone che sappiano interpretare e ridisegnare i processi, con una visione trasversale. L’esperienza del Covid ce lo ha insegnato, chi si è adattato più rapidamente oggi è cresciuto di più. Per questo investiamo in formazione continua, innovazione e collaborazione con l’ecosistema di Altea Federation, dove convivono competenze e specializzazioni che rappresentano un valore enorme. Tra le nuove competenze da coltivare c’è anche la capacità di comprendere e governare strumenti come l’intelligenza artificiale, che oggi entra in modo sempre più pervasivo in tutti i processi aziendali».
Intelligenza artificiale: quali opportunità vedete e quali criteri adottate per etica, qualità dei dati e sicurezza?
«Il dato è la base di tutto, senza data quality nessun sistema, per quanto evoluto, potrà restituire risultati affidabili. Per questo riteniamo fondamentale conoscere bene l’AI prima di proporla, evitando di raccontarla in modo superficiale. Un altro tema chiave è la sicurezza delle informazioni, strettamente legata all’infrastruttura. Stiamo costruendo piattaforme di AI private nel nostro data center, per mantenere
i dati in un ambiente sicuro e sotto controllo, senza esporli ai rischi tipici del cloud. La governance dei dati è cruciale, se si inseriscono informazioni senza criterio, possono finire nelle mani sbagliate o addirittura ritorcersi contro chi le genera. Ci sono anche temi etici, ma come dicevo prima, la sicurezza e la qualità del dato restano fondamentali. Solo attraverso un approccio etico e una qualità reale nel data entry si possono ottenere risultati che la rispecchino davvero. L’intelligenza artificiale non sostituisce l’etica, la supporta, la aiuta, ma non può prenderne il posto. Un errore diffuso è pensare che l’AI sia la panacea di tutti i mali, non lo è. Se lasciamo che ci sostituisca, abbiamo già perso il senso del nostro lavoro. Dobbiamo continuare a metterci del nostro, il valore dell’esperienza quotidiana, concreta, è ciò che fa davvero la differenza. L’AI va gestita con responsabilità, non con superficialità».




