Negli ultimi vent’anni al centro di un processo di cambiamento, Philip Morris International punta su nuove forme di business, su una filiera interna e anche su una Academy per creare competenze strategiche nei giovani
Piergiorgio Marini, Responsabile delle Relazioni Esterne di Philip Morris Manufacturing and Technology Bologna – presidio produttivo del colosso del tabacco in Italia – ci racconta i progetti in corso
Sicuramente è in atto una trasformazione: non solo tra i fumatori ci sono consapevolezze – e anche metodologie – sul consumo di tabacco diverse dal passato ma, conseguentemente, anche i grandi produttori del settore hanno scelto nuove direzioni da seguire.
Il fumo stesso, del resto, è ormai al centro di un cambiamento, anche sociale, e cresce l’importanza di fare informazione perché si possa quanto meno ridurre l’esposizione al rischio che questo provoca, ad esempio evitando la combustione del tabacco, processo responsabile dello sviluppo della maggior parte delle malattie correlate al fumo.

Tutto ciò ha inevitabilmente guidato anche il settore produttivo verso nuove sensibilità. Anche Philip Morris International ha ripensato al suo futuro, a partire da una ventina di anni fa. Una “deviazione” nella storia produttiva del colosso americano che ha richiesto un investimento di circa 14 miliardi di euro e un’operazione complessa che ha portato alla nascita di vari centri di ricerca in tutto il mondo.
«Non è stata una scelta semplice da implementare – ci racconta Piergiorgio Marini, responsabile delle pubbliche relazioni di Philip Morris Italia –, ha richiesto del tempo ma è stata vincente, dato che ormai il 40 per cento del revenue dell’azienda si basa su prodotti di nuova generazione, prodotti alternativi alla combustione e che sono andati anche in competizione con altri nostri brand quali Marlboro, la sigaretta leader al mondo. Dunque, è stata una scelta che ha chiesto coraggio, oltre che soldi».
È sul piano istituzionale, però, che si gioca la partita forse più responsabile e visionaria, quanto dura. E si è pronti per questo a un cambio di business. «Vorremmo cercare di sviluppare delle politiche che incoraggino gli investimenti e che supportino l’innovazione, perché l’alternativa è rimanere nello status quo, è la non-azione: nel caso di un mercato come quello delle sigarette, che creano dipendenza e malattie, significa mantenere stabile il numero di persone che ogni anno muore per il fumo e questo, per noi, non è più accettabile.
Vogliamo, pertanto, cambiare completamente il nostro business».
Come? Tracce e indizi sono ormai proprio in Italia: in Emilia-Romagna, terra della cosiddetta Smokefree Valley, la compagnia statunitense ha investito un miliardo e duecento milioni di euro dal 2014 al 2020 per farne oggi un centro d’eccellenza nella produzione su larga scala dei prodotti innovativi senza combustione. Un polo innovativo (e per questo, fra l’altro, vincitore del Microsoft Intelligent Manufacturing Award 2025) che raccoglie un po’ tutto il senso di questo cambiamento in corso. «A Crespellano, nella cintura bolognese, abbiamo un impianto industriale che conta oltre 330.000 metri quadri e dà impiego a più di 2.000 persone», continua Marini.
«Altro fulcro, poi, è Zola Predosa, il centro della prototipia mondiale, dove i nostri nuovi prodotti vengono pensati e realizzati, dalla fase iniziale fino all’industrializzazione, prima di esportarli in oltre 39 impianti nel mondo».
«Abbiamo già investito in agricoltura più di 2 miliardi di euro e nei prossimi dieci anni ne investiremo un ulteriore miliardo, comprando metà della produzione agricola di tabacco in Italia. L’Italia – precisa Marini – è il più grosso produttore europeo di tabacco con quasi il 35 per cento della produzione e noi ne compriamo la metà, ma soprattutto ci impegniamo a farlo per i prossimi dieci anni, perché vogliamo dare alle persone impiegate nel comparto agricolo, e agli imprenditori che rischiano il proprio capitale, una capacità previsionale che gli permetta di investire nelle proprie aziende, facendole evolvere e creando quelle competenze che servono per il futuro».
Proprio sul futuro, il colosso americano – come tutte le realtà produttive in Italia – intende scommettere, in special modo fronteggiando la mancanza di competenze, in un’epoca in cui cominciano a scarseggiare quelle maestranze strategiche che caratterizzavano il Belpaese.
La risposta per Philip Morris Italia, allora, è crearle all’interno di questo polo emiliano e, al tempo stesso, aprire a collaborazioni esterne di vario tipo: «Si chiama IMC, Institute for Manufacturing Competences, e ha sviluppato programmi con università italiane e promosso la formazione sia verso i ragazzi dell’ITS sia verso i professori – perché il mondo corre», commenta il manager.
«Abbiamo lanciato un’Academy aperta al pubblico, ai nostri fornitori e a qualsiasi azienda radicata sul territorio, per collaborazioni con qualunque università, o ente di ricerca italiano, che voglia fare trasferimento tecnologico e open innovation. Negli ultimi vent’anni, si è persa quella che era la formazione professionale specializzata – conclude –, cosa che invece in Germania ha permesso di integrare milioni di immigrati.
Sviluppare questo tipo di programmi permette di radicare sul territorio maestranze che, poi, possano servire non solo alla Smokefree Valley, ma anche alla Packaging Valley, alla Motor Valley e che poi, da qui, esportino competenze, conoscenze e prodotti, dando il via alla “catena del valore”».