Dall’invisibile all’investibile, la nuova frontiera delle PMI italiane
Intervista a Davide D’Arcangelo, presidente Next4 Group e Innovation Policy Maker
Non sono advisor né venture capitalist: gli IBR (Investor Business Relator) aiutano le imprese a trasformare governance, sostenibilità e innovazione in un linguaggio leggibile dagli investitori. Una funzione sempre più strategica per connettere PMI e capitali, soprattutto in un’Italia che resta seconda in Europa per esportazioni ma ancora troppo distante dai mercati finanziari.
In un contesto in cui i capitali internazionali sono sempre più selettivi e le imprese devono misurarsi con nuove regole europee su sostenibilità, governance e innovazione, nasce la figura dell’Investor Business Relator (IBR). Non un semplice advisor né un venture capitalist, ma un abilitatore capace di trasformare una PMI da “invisibile” a “investibile”, creando il contesto giusto perché capitale, impresa e territorio parlino lo stesso linguaggio. Con Davide D’Arcangelo, presidente Next4 Group e Innovation Policy Maker, esploriamo perché l’IBR sta diventando una funzione strategica per la competitività italiana, quali settori ne beneficiano maggiormente e come può contribuire a ridisegnare il rapporto tra innovazione, capitale e sviluppo del Paese.
Gli IBR nascono per mettere in relazione capitale, innovazione e imprese: quali sono i tratti distintivi che li differenziano da un tradizionale advisor o da un venture capitalist?

«Un advisor tradizionale legge i numeri, un venture capitalist porta capitale. L’Investor Business Relator invece fa qualcosa di diverso: crea il contesto perché quell’investimento sia possibile, sostenibile e attrattivo nel tempo. Oggi, con il Listing Act europeo e la Capital Markets Union, non basta un business plan ben fatto: serve saper tradurre governance, innovazione e impatto in un linguaggio leggibile dal mercato. È qui che l’IBR diventa cruciale, trasformando una PMI da “invisibile” a “investibile”. Eppure, il paradosso resta: l’Italia è al 2° posto in Europa per esportazioni insostituibili, ce lo dice il Global Attractiveness Index 2025 di The European House of Ambrosetti presentato quest’anno a Cernobbio, ma solo il 2% delle PMI accede ai mercati dei capitali. Questo significa che il valore c’è, ma non viene raccontato. Il punto allora è: cosa conta di più oggi per attrarre investitori, un bilancio impeccabile o la capacità di posizionarsi come indispensabili in una filiera globale? L’IBR nasce per rispondere a questa sfida: non è un intermediario, ma un abilitatore di ecosistemi, capace di collegare impresa, capitale e territorio in una narrazione coerente che genera fiducia e sviluppo».
Perché oggi, in questo particolare momento di mercato, la funzione di un IBR è ancora più strategica?
«Perché viviamo una fase di transizione doppia. I capitali ci sono, ma sono diventati più selettivi e al tempo stesso le imprese devono affrontare nuove regole europee su sostenibilità e trasparenza, dal Green Deal Industrial Plan alla CSRD, fino all’AI Act che entrerà a pieno regime dal 2025. Il rischio è chiaro: avere valore senza riuscire a comunicarlo nel modo giusto. Non a caso, nel 2024 solo il 2% delle PMI italiane ha avuto accesso ai mercati dei capitali, nonostante la semplificazione introdotta dal Decreto Capitali. Allo stesso tempo, gli Investimenti Diretti Esteri verso l’Italia sono cresciuti a 38,6 miliardi di dollari (+36% rispetto al 2023). Quindi il capitale c’è, ma va intercettato. Ecco perché l’IBR oggi è strategico, trasforma la compliance in opportunità competitiva, aiuta l’impresa a non perdersi tra normative, metriche e bandi e costruisce un dialogo credibile con chi investe. In un mercato che cambia alla velocità delle tecnologie e delle policy, l’IBR è come un navigatore di fiducia, mette ordine, dà direzione e crea fiducia. Non è un lusso, è una leva di crescita sistemica, capace di collegare impresa, capitale e territorio in un’unica traiettoria di sviluppo. Quindi è una necessità».
Quali settori o tecnologie stanno beneficiando maggiormente del lavoro degli IBR?
«Gli IBR sono particolarmente preziosi nei settori che vivono trasformazioni profonde, dove il capitale arriva ma serve un racconto solido per distinguerle dal rumore di fondo. Penso all’intelligenza artificiale e alla cybersecurity, oggi al centro dei piani europei e degli investimenti pubblici-privati. Il piano CDP Venture Capital 2024-2028 ha già destinato oltre 1 miliardo di euro a questi ambiti. Qui l’IBR aiuta le imprese a tradurre innovazione e scalabilità in linguaggio finanziario, rendendole credibili agli occhi di fondi e investitori istituzionali. Un altro fronte è la transizione energetica: filiere come rinnovabili e idrogeno richiedono capitali pazienti e partnership globali. Senza una narrazione chiara, rischiano di restare progetti tecnici incomprensibili al mercato.
E non dimentichiamo i settori tradizionali che stanno cambiando pelle: il manifatturiero avanzato e l’agritech. In Italia il 92% delle imprese è PMI, ma troppo spesso manca la capacità di raccontarsi come protagoniste della nuova economia. L’IBR lavora proprio qui, collega innovazione e capitale, fa percepire non solo il valore
economico, ma anche quello sociale e territoriale. Il punto è semplice, non basta generare valore, serve saperlo rendere leggibile. E in questo, l’IBR diventa un abilitatore di crescita».
Guardando al futuro, in che direzione stanno andando i rapporti tra innovazione, capitale e territorio in Italia?
«Il futuro va in una direzione chiara, i capitali non inseguono più solo le imprese, ma gli ecosistemi. Non conta soltanto il bilancio di una singola azienda, ma la capacità di un territorio di generare innovazione, competenze e governance credibile. Il Global Attractiveness Index 2025 ci dice che l’Italia è il secondo Paese in Europa per insostituibilità delle esportazioni, eppure molte PMI restano fuori dai mercati dei capitali. Significa che il valore c’è, ma va reso visibile. Le nuove politiche europee, dal Net-Zero Industry Act al Digital Europe Programme, premiano proprio chi sa muoversi in logica di filiera e distretto. In Italia è questa è la vera sfida: senza un ponte tra capitale e territori rischiamo frammentazione. E qui l’IBR gioca un ruolo decisivo, non lavora solo sull’impresa singola, ma può costruire relazioni sistemiche che rendono un distretto attrattivo per investitori globali. È come passare da una somma di voci isolate a un coro che si fa sentire nel mondo. Il futuro dell’Italia sarà fatto di imprese forti dentro ecosistemi forti, e l’IBR è il regista che permette a innovazione e capitale di convergere per generare sviluppo condiviso».