La cultura organizzativa di Adiacent

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Adiacent trasforma obiettivi in esperienze digitali concrete, guidata dalla CEO Paola Castellacci che vede l’innovazione come un’opportunità da dominare. Tecnologia, cultura e persone si fondono per accompagnare le imprese del Made in Italy verso una crescita strategica

Con oltre 250 dipendenti, dodici sedi in Italia e all’estero e una missione chiara – trasformare gli obiettivi in esperienze digitali concrete –, Adiacent è oggi una delle realtà più dinamiche nel panorama italiano della customer experience. A guidarla è Paola Castellacci, fondatrice e CEO, che considera l’innovazione un’opportunità che va dominata.

Cos’è per lei l’innovazione? È più una questione di tecnologia, cultura o persone?

«L’innovazione è un mix di tutte queste cose. Per Adiacent, è un processo naturale, continuo. È una scelta obbligata, certo – operando nella tecnologia sarebbe impensabile il contrario –, ma la cosa fondamentale è far capire che l’innovazione è prima di tutto un’opportunità. Il nostro impegno

quotidiano è quello di accompagnare le imprese, soprattutto quelle legate ai settori tradizionali del Made in Italy, affinché vedano l’innovazione non come una minaccia, ma come una leva strategica di crescita. Tuttavia, non basta aderire a un’idea di innovazione: serve dominarla. E per farlo, è necessario costruire visioni a medio-lungo termine e farsi affiancare da partner competenti. L’innovazione deve diventare un elemento guida nella crescita dell’azienda».

Come si costruisce e si mantiene una cultura dell’innovazione all’interno di un’azienda?

ITALIA ECONOMY - La cultura organizzativa di Adiacent
Paola Castellacci, Ceo Adiacent

«Servono visione, organizzazione e, soprattutto, lavoro quotidiano. Innovare non significa solo adottare nuove tecnologie: vuol dire anche cambiare il modo in cui si lavora, si collabora e si cresce. E questo non si può fare senza un forte investimento sulle persone. In Adiacent, ad esempio, abbiamo creato una rete di team di massimo 20 persone ciascuno, guidati da coach, non manager, per sottolineare il loro ruolo di mentori, più che di capi. L’obiettivo è aiutare i collaboratori a mettersi in gioco, imparare, migliorarsi ogni giorno.

L’innovazione organizzativa è indispensabile per affrontare le sfide tecnologiche. Un altro aspetto chiave è la formazione. Oggi si parla molto, giustamente, di formazione sulla sicurezza, ma quella sull’innovazione è altrettanto cruciale. Per questo siamo partner dell’ITS Academy Prodigy, una scuola post-diploma focalizzata sul digitale con sede a Empoli. Si tratta di una formazione alternativa all’università, con un taglio molto pratico e fortemente connesso al mondo delle imprese. È un modo concreto per inserire nuove competenze e nuove energie innovative in azienda. In Toscana, tra l’altro, ci sono dieci ITS su vari settori, dalla moda alla nautica: collaborare con questi istituti deve essere vista dalle imprese come una grande risorsa».

Lavorate molto sull’integrazione tra creatività, tecnologia e dati: come si costruisce questo equilibrio?

«È un equilibrio delicato, ma fondamentale. Ogni progetto, oggi, richiede competenze trasversali: non basta essere bravi tecnologi o creativi, serve un approccio di business. Noi, pur essendo nati come azienda tecnologica, ormai affrontiamo ogni progetto integrando diversi punti di vista. Un e-commerce, per esempio, non è solo una piattaforma che funziona: è uno strumento per vendere.

Quindi deve avere un’interfaccia intuitiva, una grafica moderna, deve sapere chi è l’utente, quali sono i suoi comportamenti, i suoi interessi. Tutto questo richiede dati, design e tecnologia insieme. Per questo costruiamo team misti, dove ogni figura professionale porta la propria prospettiva. Solo contaminando competenze e visioni si riesce a creare un vero valore. E i momenti di confronto trasversale, nei nostri progetti, non sono facoltativi: sono indispensabili per il successo».

L’Intelligenza Artificiale come sta cambiando il vostro approccio all’innovazione?

«Lavoriamo con l’intelligenza artificiale da molti anni, quindi per noi non è una novità assoluta. Ma il fatto che oggi se ne parli tanto è positivo: l’IA è uscita dalla nicchia degli esperti ed è entrata nel dibattito pubblico. Oggi ci sono tecnologie molto potenti e una quantità di dati che prima

era impensabile. Piattaforme come ChatGPT o Perplexity ne sono la prova. Il problema, però, non è la tecnologia: anzi, oggi c’è quasi un eccesso di offerta. Il vero nodo è come applicare l’intelligenza artificiale in modo efficace nei contesti di business. Spesso si teme che l’IA possa rubare lavoro, ma la verità è che a essere penalizzato sarà chi non saprà usarla. Chi la padroneggerà, al contrario, avrà un vantaggio competitivo.

Quindi il punto torna sempre alle persone: serve formarle, renderle consapevoli, aiutarle a reinventarsi. Sono convinta che il cambiamento portato dall’intelligenza artificiale sarà positivo, se affrontato con consapevolezza. Sta a noi decidere se subirlo o cavalcarlo. E chi entra oggi nel mondo del lavoro con questi strumenti già disponibili avrà un’enorme opportunità di portare valore alle aziende».

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Immagine di Simona Savoldi
Simona Savoldi

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