Il futuro è arrivato e sembra il passato

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Il futuro è arrivato travestito da passato: mentre il mondo ridisegna i suoi equilibri, l’Europa rischia di restare fuori dai giochi se non assume con coraggio la responsabilità delle proprie scelte

E va bene. Siamo all’anno zero. Ho insistito spesso negli scorsi anni sull’esigenza di una strategia di sistema che sostenesse l’inderogabile necessità di un’Agorà dei decisori e di avviare un confronto sistematico per creare una visione partecipata e obiettivi comuni. Il ruolo dei giovani era indicato da me come primario. Sono i giovani che pagheranno i nostri errori e che hanno il diritto di essere al tavolo di chi decide.

Per 80 anni abbiamo costruito strutture di sistema: ONU, NATO, OMS, Corte Penale Internazionale, G7, G8, protocolli di tutti i generi. Oggi in poco più di un mese troviamo che dopo 80 anni il debole ordine creato (anche se almeno in Europa ha assicurato molti decenni di pace) non vale più.

Il ritorno urlato all’imperialismo e all’alleanza capitale/tecnologia/politica sta scombussolando economia e politica. Il ritorno alla legge del più forte e all’esigenza di riarmarci per non essere preda dei carnivori mette in secondo piano la sostenibilità ambientale e sociale. L’intelligenza artificiale e la dipendenza dalla tecnologia ci scopre indifesi e in balia di chi può accendere o spegnere migliaia di satelliti. Gli hakers più o meno anonimi o di stato bloccano servizi pubblici, spandono fake news, determinano vittorie e sconfitte politiche. La degenerazione era nell’aria e sintomi

vistosi la hanno anticipata. Ma ora che tutto sembra precipitare non è detto che sia necessariamente un male. Prima di parlare di una nuova Europa (sarebbe l’ora) facciamo un salto indietro di 80 anni e andiamo a Jalta (Crimea, corsi e risorsi…). Roosevelt, Stalin e Churchill decisero come dividere l’Europa in zone di influenza che lasciarono campo libero all’Unione Sovietica per prendere letteralmente possesso dell’Est, Polonia e Germania Est comprese. Gli effetti di Jalta si concluderanno nel 1989, con la caduta del muro di Berlino, passando però per una guerra fredda, per l’invasione dell’Ungheria, per la repressione in Cecoslovacchia…

E qui entra in scena l’Europa, che avrebbe potuto e dovuto diventare adulta, svilupparsi come attore di governo capace di lavorare per la pace e la sostenibilità, di darsi regole condivise, di prendere decisioni non necessariamente all’unanimità (con l’unanimità non si governa neanche un condominio…), di organizzare le proprie difese, di fare ricerca di sistema cercando le sinergie oltre gli interessi delle Nazioni. Ma 35 anni dopo la fine del muro l’Europa non è divenuta Europa. È rimasta un insieme di stati e staterelli dominati da egoismi e personalismi, incapace di decisioni strategiche.

Gli stravolgimenti di quattro mesi di editti trumpiani mostrano la voglia di una nuova Jalta per mettere a tavolino Trump, Xi Jinping, Putin, BRICS e definire la nuova governance mondiale. A questo tavolo l’Europa non è considerata, come avvenne per la Francia di De Gaulle a Jalta, se non per essere un mercato di 448 milioni di ricchi clienti (almeno ancora per qualche anno). Nel frattempo, mentre Trump accelera la ripulitura di Putin da anatemi e sanzioni, il bivio che abbiamo raggiunto ci impone scelte epocali. Avremo il coraggio di diventare un’Europa che decide? Da questa risposta, che avremo presto, dipenderà la nostra possibilità di Progettare il Futuro. Occorre dunque progettare ex novo il presente e soprattutto ritrovare la cultura della partecipazione.

Il nostro apporto è riassunto nell’essere un’agorà che mette a confronto gli attori primari, regione dopo regione, sui temi legati all’innovazione, nel senso più ampio della parola, e sulla centralità della risorsa umana, con attenzione prevalente ai giovani che dovrebbero esserne i migliori interpreti.

In questi mesi il futuro è arrivato, anche se sembra un passato lontano. Improvvisamente. Senza che ce ne accorgessimo. Travestito da intelligenza artificiale, dai dazi, dal ritorno delle politiche coloniali, dalle guerre che prosperano nell’indifferenza dei potenti, dalle minacce alla sostenibilità sociale.

Ci ritroviamo a parlare di riarmo, di industria bellica che sottrarrà risorse importanti alla sanità e alla scuola. Cerchiamo di capire quanti posti di lavoro si perderanno col PIL che cala, su come riprogrammare filiere e reti commerciali, su come salvare i pochi risparmi dai balzi che fanno le borse in altalena selvaggia. È in ballo un pericoloso duello tra democrazia e autocrazia e questo mentre la partecipazione dei cittadini alla vita dello Stato è ormai ridotta a percentuali sotto il 50%. Progettare presente e futuro implica la necessità di far crescere la cultura della politica e dell’economia facendo slalom tra fake news, teatrini, intellettuali troppo spesso asserviti all’uno o all’altro campo.

Il cittadino anziano è sperduto, non trova più i punti di riferimento del passato e non ha strumenti per capire il divenire prorompente di un nuovo di cui ha diffidenza, se non paura. Il cittadino giovane si fa spesso intrappolare dalla sensazione di sapere tutto e finisce in modo passivo per subire il cambiamento più che cercare di gestirlo. In mezzo ci sono gli adulti invecchiati-ma-non-troppo che vivono nel mito del giovane a oltranza e finiscono per perdere il filo di un cambiamento troppo veloce e complesso per essere affrontato con superficialità.

I giovani, che sono sempre meno, finiscono per maturare più il senso del diritto che quello del dovere e finiscono spesso per desiderare solo di fuggire da una patria avara e incapace di motivarli. Ma allora è tutto perduto? No. Ma dobbiamo far crescere il senso civico e il desiderio di cultura. È il momento che ci impone di crescere. Chi oggi non governa il presente è già tagliato fuori da un futuro dai contorni incerti

ma col fascino di un nuovo mondo da costruire. Dopo il Medioevo arrivò il Rinascimento e noi di cultura ce ne intendiamo anche se spesso facciamo finta di preferire l’ignoranza.

Un invito agli attori, pubblico, privato, terzo settore insieme devono trovare e rafforzare modalità di dialogo, coprogettazione, partecipazione, condivisione di culture che li portino a governare una transizione che obbliga a decisioni rapide e a una visione strategica che velocemente consenta di modificare i progetti in funzione del continuo cambiamento degli scenari.

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Immagine di Giuliano Bianucci
Giuliano Bianucci

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