di Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo Settore
L’economia sociale, che include realtà come cooperative, associazioni, fondazioni e imprese sociali, svolge un ruolo centrale per una società più equa e sostenibile. Le organizzazioni che ne fanno parte non solo arricchiscono il panorama economico del Paese, ma uniscono creazione di valore e impegno sociale, producendo beni e servizi di interesse generale, mettendo al centro la persona e la comunità anziché il fine di lucro. Fra gli attori di maggior rilievo dell’economia sociale vi sono gli Enti del Terzo Settore (ETS)

Se, da una parte, in questi anni sta aumentando il riconoscimento del ruolo Terzo settore come fondamentale nell’offrire servizi, opportunità e risposte ai bisogni individuali e sociali (che sempre meno, purtroppo, arrivano dallo Stato), dall’altra è un processo ancora faticoso quello che vede affermare, nell’opinione pubblica e all’interno delle istituzioni, il Terzo settore quale realtà economica, oltre che sociale. Oggi il non profit conta, oltre ai 4,6 milioni di volontari, 900mila lavoratori dipendenti (circa il 5% del totale nazionale) e 363mila enti (tra associazioni, organizzazioni di volontariato, cooperative e imprese sociali, fondazioni ecc.). Secondo i risultati definitivi del Censimento permanente ISTAT del 2021 relativi alle dimensioni economiche, il non profit vale quasi 93 miliardi di euro (32% in più rispetto al censimento del 2015). Come si finanziano questi enti? Sempre ISTAT ci dice che il 73% delle entrate deriva da un finanziamento privato: 68 miliardi di euro contro i 25 miliardi (27%) provenienti dal pubblico. Tra le voci di finanziamento privato, le due predominanti sono relative ai “contributi annui aderenti, comprese quote sociali e contributi del fondatore”, e ai “proventi/entrate derivanti dalla vendita di beni e servizi”.
Ci troviamo a tutti gli effetti di fronte a un comparto essenziale del sistema socio-economico del nostro Paese. Eppure sarebbe riduttivo, se non controproducente, fare leva solo sui dati quantitativi per raccontare il valore del Terzo settore. In altre parole, sarebbe un errore limitarsi a dire “quanta economia fa Terzo settore”: occorre spiegare come lo fa, e soprattutto perché.
Quello portato avanti dal Terzo settore è infatti un vero e proprio modello di sviluppo, non incentrato sul profitto ma sulla centralità della persona e che punta al miglioramento delle condizioni di vita per l’emancipazione delle persone e il progresso dei territori. Sono tratti distintivi di questo modello il lavoro inclusivo e di qualità, la sostenibilità ambientale, sociale ed economica, la formazione come strumento di crescita personale e di empowerment per uscire da situazioni di marginalità e disagio sociale. Esempi concreti di economia sociale sono i progetti di riutilizzo a fini sociali di beni confiscati alle mafie, le attività per l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, o quelle nate da percorsi di emancipazione di donne vittime di violenza o persone detenute. Non solo: è economia sociale quella che si fonda sull’agricoltura di prossimità, sul rispetto dell’ambiente e sul commercio equo e solidale, o quella che si occupa del riciclo e del riuso dei rifiuti. È economia sociale quella che porta a far nascere una banda musicale o ad aprire un centro sportivo in una periferia abbandonata, per dare opportunità sociali e culturali accessibili a tutti.
Il Terzo settore, dunque, fa economia e la fa seguendo principi e una visione ben precisa, coniugando ricchezza sociale e ricchezza economica. Una recente ricerca di Intesa Sanpaolo e Prometeia ha dimostrato che ogni euro investito nel Terzo settore ne genera oltre 3 in benefici sociali. È sempre più evidente che l’attuale modello di economia di mercato non riesce a rispondere ai bisogni delle persone e delle comunità: povertà e disuguaglianze aumentano vertiginosamente, mentre nascono nuove fragilità e solitudini che minano pesantemente il tessuto e la coesione sociale. Tutto diventa ancora più drammatico guardando alla situazione e all’economia internazionale, sempre più pericolosamente proiettata sul riarmo.
L’economia sociale, invece, è una leva per la pace, innanzitutto, ed è la risposta più lungimirante e più adeguata alle prospettive di sviluppo del nostro Paese e dell’Europa.
Negli ultimi anni, è vero, sono stati compiuti importanti passi avanti verso l’economia sociale, a partire dalla dimensione UE, con l’adozione del Piano d’Azione Europeo per l’Economia Sociale nel 2021. Ma ancor più di recente si è paventato il rischio di fare marcia indietro: la Direzione Generale per il Mercato Interno, l’Industria, l’Imprenditorialità e le Pmi (DG GROW) nei mesi scorsi ha rinunciato al suo chiaro e diretto impegno a favore dell’economia sociale.
Il 2025, poi, è un anno particolarmente cruciale perché anche l’Italia, sulla base delle indicazioni europee, dovrà dotarsi di un Piano Nazionale d’Azione per l’Economia Sociale: da diversi mesi stiamo portando avanti un dialogo con il sottosegretario al Mef Lucia Albano, affinché il Piano d’Azione rappresenti davvero un volano per lo sviluppo dell’economia sociale, il rafforzamento delle esperienze già esistenti e la diffusione di nuove. Occorrono innanzitutto incentivi e norme adeguate, che si basino sulle peculiarità del Terzo settore italiano (così come di tutti gli attori dell’economia sociale), a tutti gli effetti un unicum in Europa e senza dubbio un modello virtuoso da seguire. All’interno del Forum Terzo Settore stesso stiamo lavorando per elaborare proposte e strumenti innovativi. Lo facciamo, ad esempio, con Cantieri ViceVersa: il progetto, realizzato insieme al Forum per la Finanza Sostenibile, vede dialogare e confrontarsi ogni anno, in una summer school, Enti di Terzo Settore e operatori del settore bancario, finanziario, assicurativo, per migliorare la conoscenza reciproca e ragionare su possibili soluzioni di finanza sostenibile da adottare in svariati ambiti, dall’accesso al credito alle assicurazioni per i volontari. Inoltre, abbiamo iniziato una collaborazione con Banca Etica per analizzare quali siano le principali difficoltà finanziarie incontrate degli ETS, così da poter intervenire, collaborando con le istituzioni.
Di fondo, resta il tema delle specificità del Terzo settore, fra i principali attuatori dell’economia sociale, e del suo inquadramento fiscale. Finalmente nei mesi scorsi l’Unione europea ha dato il via libera al “pacchetto fiscale”, in stand by da anni, per il Terzo settore. Così facendo, ha sostanzialmente riconosciuto le caratteristiche uniche di questo comparto e il suo ruolo nel perseguimento dell’interesse generale, aprendo la strada a un vero e proprio diritto tributario ad hoc. Anche se alcune norme necessitano ancora di importanti chiarimenti, un traguardo molto atteso dagli ETS è stato raggiunto e ci auguriamo che rappresenti una spinta anche per risolvere questioni annose – e dannose – nel nostro Paese, come l’Iva per le attività associative, un “fantasma” ancora da scongiurare definitivamente, o l’Irap: una tassa, questa, che paradossalmente il non profit paga in misura maggiore rispetto alle imprese profit.
Per il Terzo settore lo sviluppo sociale è condizione per lo sviluppo economico (che è cosa diversa da una crescita solo per pochi e non sostenibile), non viceversa. L’economia sociale, se adeguatamente sostenuta, è la strada che lo può dimostrare sempre di più.