Comuni italiani, meno fragili ma ancora divisi. L’Italia migliora, ma il gap territoriale resta il grande nodo irrisolto
L’Italia dei Comuni è meno fragile di qualche anno fa, ma non è ancora un Paese che corre alla stessa velocità. Il nuovo aggiornamento dell’Indice di Fragilità Comunale (IFC) restituisce l’immagine di un sistema territoriale in graduale miglioramento, attraversato però da divari profondi e persistenti, soprattutto tra Nord e Mezzogiorno. Un progresso reale, ma diseguale, che racconta molto delle sfide strutturali che attendono il Paese nei prossimi anni.
Nel 2022 i Comuni collocati nelle fasce di fragilità massima o molto alta sono il 14,9% del totale, poco meno di 1.200 realtà in cui vive circa l’8% della popolazione italiana. All’estremo opposto, oltre un quarto dei Comuni presenta livelli di fragilità minimi o molto bassi e accoglie quasi il 45% dei residenti. Numeri che segnalano un miglioramento rispetto al 2018, ma che continuano a disegnare una geografia a due velocità.
Il baricentro delle criticità resta saldamente nel Mezzogiorno e nelle Isole. Qui si concentra la quota più elevata di Comuni fragili, con punte particolarmente marcate in Calabria, Sicilia e Campania. In queste regioni circa un terzo della popolazione vive in territori esposti a molteplici vulnerabilità: spopolamento, debolezza del tessuto produttivo, bassi livelli di istruzione e occupazione, difficoltà di accesso ai servizi essenziali. All’opposto, il Nord-est si conferma l’area più resiliente del Paese, con una netta prevalenza di Comuni a bassa fragilità, soprattutto nelle Province autonome di Trento e Bolzano e in Veneto.
La fotografia del 2022, però, non è immobile. Tra il 2018 e il 2022 l’Indice di Fragilità Comunale mostra un miglioramento diffuso. Diminuisce la quota di popolazione che vive nei territori più fragili e cresce quella che risiede nei Comuni meno critici. Il dato è particolarmente significativo nel Sud e nelle Isole, dove la riduzione dell’incidenza della fragilità è stata più intensa, segnale che alcune politiche pubbliche e dinamiche economiche stanno iniziando a produrre effetti tangibili.
A trainare il miglioramento sono soprattutto i progressi su alcuni indicatori ambientali e socio-economici. Migliora la gestione dei rifiuti, diminuisce il peso dei veicoli più inquinanti, cresce il tasso di occupazione nella fascia 20-64 anni e si rafforza, seppur lentamente, la densità del tessuto produttivo. Tuttavia, questi segnali positivi convivono con tendenze che continuano ad alimentare il divario territoriale, come la dinamica migratoria, ancora fortemente negativa nel Mezzogiorno.
Il report mette inoltre in luce una fragilità che non riguarda solo la collocazione geografica, ma anche la struttura dei territori. I Comuni più piccoli, con meno di 1.000 abitanti, risultano mediamente più fragili, così come quelli più periferici e lontani dai servizi essenziali. La fragilità cresce con l’isolamento, non solo fisico ma anche economico e sociale, e colpisce sia aree rurali marginali sia alcune periferie urbane densamente popolate.
Interessante anche il legame tra fragilità e modelli di sviluppo. Nel Nord e nel Centro emergono territori economicamente forti ma sottoposti a una forte pressione antropica, con elevato consumo di suolo e criticità ambientali. Nel Mezzogiorno, invece, la fragilità si accompagna spesso a un consumo di suolo ancora contenuto, segno di un potenziale inespresso più che di una sostenibilità già consolidata.
In sintesi, l’Italia dei Comuni sta migliorando, ma lo fa in modo disomogeneo. Il quadro che emerge dall’Indice di Fragilità Comunale non è quello di un Paese in crisi, bensì di un sistema che ha imboccato la strada giusta senza aver ancora colmato le distanze strutturali che lo attraversano. La sfida, oggi, non è solo ridurre la fragilità, ma trasformare il miglioramento in una leva stabile di coesione territoriale e sviluppo sostenibile, capace di tenere insieme crescita economica, qualità ambientale e capitale umano.




