Metodo OKR nove aziende su dieci riescono a raggiungere gli obiettivi
Il metodo OKR – Objectives and Key Results (Obiettivi e Risultati Chiave) collega gli obiettivi di un’azienda ai risultati chiave necessari per raggiungerli. Ne abbiamo parlato con Luca Cipriani, fondatore e anima di OKR Business
John Doer con il suo libro “Measure what matters: how Google, Bono and the Gates Foundation rock the world with OKRs”, del 2018, ha contribuito a diffonderne la conoscenza, ma gli OKR affondano le loro radici molti anni prima. A ideare la metodologia fu il Ceo di Intel, Andrew Grove, negli anni Settanta; Larry Page ha contribuito a renderla popolare, svelando di averla usata per trasformare Google da startup a colosso multinazionale.
Ma di cosa si tratta? OKR è l’acronimo di Objectives and Key Results (Obiettivi e Risultati Chiave) e in estrema sintesi è un metodo che collega gli obiettivi di un’azienda, un’organizzazione o un team, ai risultati chiave, necessari per raggiungerli. Considerato strumento essenziale di management da quasi tutte le aziende della Fortune 500 in USA, gli OKR iniziano a diffondersi anche in Italia, nel mondo delle Pmi, ma anche delle organizzazioni no-profit o tra i singoli professionisti. Alla diffusione nel nostro paese, sta contribuendo in maniera essenziale Luca Cipriani, romano, albese d’adozione, fondatore e anima di OKR Business.
Com’è avvenuto l’incontro con gli OKR?
«L’incontro è avvenuto con il libro di John Doer, quando ero Cio di Arduino. Cercando di scoprire le origini da cui questo metodo ha preso forma, sono arrivato a un testo di Mary Parker Fallet del 1911, che in pieno Fordismo sosteneva che gli ordini non sono necessari se sono chiari i problemi da affrontare. In fondo, questa è un po’ la base degli OKR. Abbiamo provato ad applicarli in Arduino e nonostante qualche difficoltà iniziale hanno dato risultati molto positivi».
E poi, come sei passato da una prima fase di sperimentazione a diventare OKR coach?
«A forza di usarli e parlarne in giro, a un certo punto gli amici di Agile Lab mi hanno chiesto di aiutarli ad applicarli internamente e i risultati sono stati molto buoni: sono passati da 100 a 200 dipendenti e hanno chiuso un ottimo round con Poste Italiane. A questo punto, hanno iniziato a contattarmi aziende diverse, con necessità differenti, ma siccome si tratta di una metodologia flessibili e adattabile è applicabile a realtà anche molto diverse».
Entriamo un po’ più nel merito: cosa sono e come funzionano gli OKR?
«In estrema sintesi, il metodo OKR collega gli obiettivi di un’azienda ai risultati chiave necessari per raggiungerli. Gli obiettivi devono essere ambiziosi, i risultati chiave non devono essere troppi, quattro o cinque di regola, devono essere misurali e avere dei tempi di applicazione e valutazione. Elementi chiave sono la trasparenza e la collaborazione, è necessario quindi che l’azienda sia pronta e disponibile ad affrontare questo percorso.
È fondamentale il ruolo dei C-level e del management, nelle PMI italiane strutturate attorno a un padre padrone è fondamentale che venga fatto il salto necessario per dare spazio e responsabilità ai manager. L’allineamento iniziale rappresenta la fase più complessa e soddisfacente del lavoro».
Mi sembra che con gli OKR sia il team a svolgere un ruolo centrale. Come si ridisegnano i ruoli in azienda?
«Il ruolo chiave è quello dei manager. Una volta ricevuto il compito di raggiungere un determinato obiettivo, sono a loro stilare i risultati chiave per raggiungerli. Prima di iniziare il lavoro però, si confrontano con i dipendenti, che possono dare suggerimenti o proporre modifiche. In pratica si ha una fase “top to bottom” in cui vengono forniti obiettivi chiari: non cosa si deve fare, ma cosa vogliamo ottenere.
E altrettanto importante è la fase “bottom up”, che permette di tradurre gli obiettivi in azioni misurabili. Così esce un piano d’azione condiviso, che potrà sempre essere corretto e modificato, se misurando le fasi di avanzamento si vede che qualcosa non funziona».
A volte bisogna dire di “no” a qualcuno?
«Quando mancano gli strumenti necessari è meglio rinviare l’applicazione degli OKR, altrimenti si rischia di non ottenere i risultati sperati. Non tutti sono pronti. In Italia lavoriamo con aziende che oscillano da 20 a 200 dipendenti, mote realtà del terzo settore, startup a caccia del primo Seed, scaleup.
Uno degli elementi che aiuta molto all’applicazione degli OKR è l’avere a disposizione una buona base di dati, perché semplifica la fase di misurazione. A volte dobbiamo fare un po’ di selezione, questo fa si che poi i risultati siano molto positivo: nove aziende su dieci riescono a raggiungere l’obiettivo».
Cosa potrebbe aiutare ad accelerare l’introduzione degli OKR nel tessuto imprenditoriale italiano?
«Nei nostri Atenei sono ancora scarsi i corsi di management e imprenditorialità. E poi bisogna lavorare maggiormente sui dati e sulla misurazione del dato, tema molto più diffuso nel Nord Europa. L’imprenditore italiano solitamente ha idee brillanti, ma vuole tutto subito ed è meno propenso a strutturate un team per la gestione di un percorso a tappe.
L’aspetto che forse spaventa un po’ è gli OKR danno potere ai dipendenti, perché una volta stabiliti i risultati chiave ci si deve attenere a quelli e chiunque può rifiutare un compito che non sia previsto nel programma stabilito. Credo siano questi principalmente i punti su cui si dovrebbe lavorare».
Per fornire le informazioni necessarie a un primo approccio con gli OKR, ha sviluppato un’Intelligenza Artificiale dedicata. Come funziona?
«A forza di riceve telefonate in cui mi facevano sempre le stesse domande, ho pensato di addestrare un’Intelligenza Artificiale, basata su Gpt, in grado di fornire le informazioni base sull’utilizzo degli OKR. Chiunque può consultarla per un primo approccio, per avere un’idea di come funzionano e provare a capire se la sua impresa possiede i requisiti necessari per provare ad applicarli».
Quando il gioco si fa duro e si passa all’applicazione pratica, però, meglio una consulenza di persona?
«Come ho già avuto modo di dire, l’allineamento iniziale rappresenta la fase più delicata e più importante. La presenza di uno sguardo esterno aiuta a capire su quali risultati focalizzare l’attenzione, come gestire i dati a disposizione e quali possono essere gli obiettivi primari».
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