Lex vs hi-tech le prospettive di una “convivenza” a due velocità. Parliamo delle nuove dinamiche introdotte dalle ultime tecnologie in ambito legale con l’avv. Daniele Ferretti
Negli ultimi anni, l’intelligenza artificiale (IA) ha iniziato a trasformare profondamente anche il settore legale, introducendo strumenti capaci di automatizzare attività complesse come la ricerca giurisprudenziale, la redazione di documenti e persino l’analisi predittiva delle controversie.
Questa evoluzione solleva interrogativi cruciali per la professione forense: quale sarà il ruolo dell’avvocato in un contesto in cui alcune competenze tecniche possono essere replicate da algoritmi? Come tutelare l’etica, la riservatezza e il libero esercizio della professione dinanzi a sistemi che apprendono, suggeriscono e, in alcuni casi, decidono? L’adozione dell’IA nel diritto non è solo una questione di efficienza, ma anche di equilibrio tra innovazione tecnologica e garanzie fondamentali dello Stato di diritto.
Abbiamo chiesto all’avvocato Daniele Ferretti, abilitato in Italia e nello Stato di New York, Chair del Comitato di Product Law & Advertising dell’International Bar Association e Ambassador dell’Italian Chapter della European American Chamber of Commerce, i riflessi di queste tendenze.
È plausibile attendersi un’integrazione tecnologica futura tale da permettere agli algoritmi di generare previsioni sui casi giudiziari?
«La giustizia predittiva e la giurimetria – espressione utilizzata nel 1949 dall’avvocato Lee Loevinger per esprimere la ricerca di una scienza esatta attraverso l’applicazione dell’informatica al diritto – sono temi molto attuali e strettamente connessi all’intelligenza artificiale. Il problema – continua – non è tanto ciò che è possibile fare con l’intelligenza artificiale in ambito giuridico, bensì se sia possibile farlo legittimamente.
I modelli attuali di analisi e di elaborazione dati sono talmente evoluti che sono già in grado di gestire quantità ingenti di dati pubblici; le risultanze delle indagini condotte circa l’attendibilità delle analisi di natura giuridica effettuate con l’intelligenza artificiale, tuttavia, mostrano quali sono i rischi delle cosiddette hallucinations, ovvero delle risposte incomplete o errate ai quesiti posti».
La nuova tecnologia può arrivare anche a migliorare l’accesso alla giustizia? L’assistenza legale può divenire un modello automatizzato, come è successo in altri settori e per altri aspetti, magari per chi non può permettersi i servizi legali “tradizionali”? Del resto, uno sviluppo in tal senso lo si sta già intravedendo in alcuni ambiti.
«Il progresso a cui stiamo assistendo è repentino; tuttavia, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nell’ambito legale presuppone un approccio diverso a seconda degli ordinamenti giuridici di riferimento, ponendo interrogativi giuridici molto diversi tra loro.
Negli Stati Uniti, ad esempio, la practice of law è rigidamente regolamentata, tanto che ogni attività di consulenza o redazione giuridica svolta da soggetti non abilitati può addirittura configurare reato di esercizio abusivo della professione legale. Ciò rende il margine di utilizzo dell’IA molto più limitato, sollevando questioni complesse di natura etica e giuridica, tra cui la trasparenza dei processi decisionali, la tracciabilità delle responsabilità e la tutela della riservatezza dei dati.
Ritengo che, soprattutto, in ambito italiano – dove c’è bisogno di una riforma organica del sistema codicistico, sia in ambito civile che penale – l’intelligenza artificiale, anziché sostituirsi all’avvocato nelle attività quotidiane, possa costituire un valido ausilio per accelerare l’evoluzione normativa domestica. I suoi algoritmi possono consentire di effettuare, quanto meno in termini generali, un’analisi comparata con altri sistemi giuridici e indirizzare, dunque, con minor tempo e costi, le scelte di fondo da effettuare in termini di riforma, delegando successivamente a giuristi esperti il compito di implementare sotto il profilo tecnico il processo valutativo condotto.
In definitiva, l’intelligenza artificiale non dovrebbe sostituire l’avvocato, ma coadiuvarlo in attività che possono essere svolte da strumenti informatici evoluti senza violare la legge: ciò consentirebbe all’avvocato di coniugare innovazione tecnologica e responsabilità etica per garantire un diritto sempre più moderno ed efficiente».