Velocità, flessibilità e capitale paziente: così il private debt sostiene crescita e innovazione delle imprese italiane, dalle PMI ai grandi gruppi
Intervista ad Antonio Chicca, amministratore delegato di Azimut Direct
Negli ultimi anni il private debt ha conosciuto una crescita significativa, offrendo alle imprese capitale flessibile e paziente, in grado di sostenere investimenti strategici ed innovazione. Un fenomeno che non riguarda solo le grandi società, ma anche le PMI, chiamate a confrontarsi con mercati europei e internazionali sempre più sfidanti, in un contesto segnato da digitalizzazione, pressione geopolitica e necessità di attrarre e trattenere talenti.
Per approfondire questi temi abbiamo incontrato Antonio Chicca, amministratore delegato di Azimut Direct, che ci ha guidato attraverso le opportunità e i vantaggi della finanza alternativa, illustrando come velocità, flessibilità, trasparenza e sostenibilità possano trasformarsi in strumenti concreti per rafforzare la competitività delle imprese italiane.
Negli ultimi anni il private debt è cresciuto. Perché? E in che misura rappresenta una risposta alle esigenze delle imprese, soprattutto PMI?
«Il contesto di mercato lo spiega bene. Sono le esigenze e gli obblighi correnti delle imprese a giustificare l’evoluzione e lo sviluppo dei mercati privati. Oggi le imprese italiane sono chiamate ad affrontare sfide decisive, e il loro superamento dipende proprio dalla capacità di accedere a quello che chiamiamo capitale paziente o capitale flessibile, offerto dagli operatori dei mercati privati.
Due sfide sono trasversali, comuni a tutte le imprese italiane, piccole, medie e grandi: crescere e innovare. Crescere è imperativo. In Italia non c’è crescita da oltre vent’anni, e nel frattempo è cambiato il contesto competitivo. Dobbiamo superare l’illusione culturale del “piccolo è bello”, che aveva senso negli anni ’70 e ’80, quando il mercato di riferimento delle imprese era domestico nazionale o regionale. Oggi le piccole dimensioni sono un freno: limitano la capacità produttiva, la possibilità di attrarre investitori e di trattenere i talenti. Non è detto che il palcoscenico debba essere già quello globale, ma almeno dobbiamo considerare l’Unione Europea come il nuovo mercato domestico. Per confrontarci a questa scala è necessario crescere, e per crescere bisogna accedere a capitale, quello messo a disposizione dai mercati privati.

La seconda sfida è l’innovazione. Anche qui dobbiamo cambiare approccio: smettere di essere semplici fruitori di tecnologie sviluppate altrove — Stati Uniti e Cina — e diventare creatori di innovazione. Oggi invece siamo utilizzatori passivi. Per rinnovare serve capitale, per finanziare ricerca e sviluppo.
C’è poi il tema di difendersi da minacce esogene. Solo attraverso gli investimenti si può ridurre la vulnerabilità del tessuto produttivo alle dinamiche geopolitiche. Un chiaro esempio attuale è quello dei dazi, che inaugurano un’era di diplomazia muscolare: accedere a capitale per rilocalizzare la produzione o conquistare nuovi mercati serve a ridurre il rischio geopolitico. In sintesi: investire rafforza le imprese. Ed è evidente quanto sia necessario accedere a capitale paziente e flessibile. La buona notizia è che i mercati dei capitali sono pronti a offrire queste risorse. Accanto alle banche oggi ci sono nuovi protagonisti che fanno solo questo: private debt, private equity, venture capital, infrastrutture, real estate. Azimut, come gruppo, è espressione di questo nuovo modo di finanziare l’economia reale, con una posizione di leadership concreta negli investimenti a supporto delle imprese».
Quali sono i principali vantaggi che il private debt offre alle imprese? Possiamo dire che la finanza alternativa sia oggi più competitiva rispetto al canale bancario tradizionale? quali sono, a suo avviso, i fattori chiave che hanno reso possibile questo sorpasso o, quantomeno, questo affiancamento?
«La scelta del termine “sorpasso” è interessante. Per quanto, in termini di volume lo stock di debito bancario sia certamente superiore, se parliamo di valore per l’imprenditore, sì, la finanza alternativa oggi offre di più.
Innanzitutto, è cambiata la percezione da parte delle imprese: è svanita la diffidenza che caratterizzava i primi anni della relazione con il mondo della finanza alternativa, quando era più conveniente rivolgersi al canale bancario. Oggi
osserviamo invece una convergenza delle condizioni economiche offerte, per vari motivi: il mercato si è ampliato — dieci anni fa c’erano pochi operatori di private debt, oggi svariate decine — e questo ha creato competizione a favore delle imprese; sono poi venuti meno alcuni privilegi che avevano favorito l’operato del canale bancario, risultanti dalla politica monetaria espansiva e dalla disponibilità diffusa di garanzie sovrane.
Ma il vero punto di forza della finanza alternativa è altrove: la velocità. Qui si parla di settimane, contro i mesi della finanza bancaria. Per gli imprenditori la tempestività di esecuzione è fondamentale in quanto sono chiamati oggi, non fra mesi a rispondere alle esigenze delle loro imprese. Essenziale anche la flessibilità. La finanza alternativa costruisce strumenti attorno alle specifiche necessità dell’impresa, con profili di rimborso e condizioni personalizzate, meno standardizzate. Osserviamo, generalizzando, una maggiore propensione a prendersi rischio, perché gli operatori alternativi seguono logiche di rischio-rendimento diverse e non sono assoggettati ad alcuni vincoli che governano l’azione delle banche.
Ecco perché, mettendo insieme convergenza delle condizioni, velocità, flessibilità e consulenza, possiamo dire che c’è stato un vero e proprio sorpasso nel valore offerto».
Quali caratteristiche deve avere un’impresa per risultare attrattiva agli occhi di un investitore in private debt?
«L’attrattività di un’impresa non si misura solo sulla base della performance economica, ma anche sulla sua capacità di integrare fattori di sostenibilità, innovazione e una leadership forte nel proprio modello di business. Sono dunque tenute a:
- pianificare in modo prudente e responsabile;
- comunicare in maniera trasparente e tempestiva, condividendo non solo i numeri ma anche la visione e il percorso atteso dal management;
- coinvolgere correttamente gli stakeholder (investitori,
azionisti, management);
- e, oggi sempre di più, abbracciare i principi di sostenibilità: ovvero prestare attenzione all’impatto ambientale
del proprio modello di servizio, alle persone e alle comunità
in relazione alla quale l’impresa opera, avere una governance trasparente ed etica.
Spesso rileviamo ancora una certa ritrosia alla trasparenza e alla tempestività nelle comunicazioni: è un limite che va superato».
Quali settori mostrano maggiore capacità di attrarre capitali attraverso il private debt?
«Sicuramente il settore delle infrastrutture, a livello nazionale, attrae grandissimo interesse, al di là di quanto stimolato dal PNRR. E altrettanto vale per la digitalizzazione».
Guardando al futuro, come vede l’evoluzione del private debt in Italia nei prossimi 5-10 anni?
«La crescita del private debt si fonda non solo sui suoi punti di valore — velocità, flessibilità, capacità di rispondere alle esigenze delle imprese — ma anche su un vero cambio di paradigma. L’Italia è una giurisdizione storicamente bancocentrica, ma le banche oggi riescono ad essere efficaci primariamente nei casi di “virtuosa eccezione” imprenditoriale, ovvero con le aziende con il merito di credito più alto, assimilabile a quello sovrano.
La stragrande maggioranza delle imprese rimane dunque esclusa. E dato che la necessità di capitale per crescere è evidente, mentre il canale bancario non riesce a seguirle, la conseguenza naturale è che la finanza alternativa continuerà a crescere in modo marcato.
Noi siamo molto contenti del posizionamento di Azimut in questo mercato, che riteniamo destinato a svilupparsi in maniera significativa».