Futurologia insieme a David Orban
Il futuro è ovunque e in molti posti, come a Shangai e a Dubai, è già arrivato. Insieme a David Orban, imprenditore e divulgatore, abbiamo esplorato il concetto di futurologia
Ha un chip impiantato sottopelle dal 2016. È stato uno dei primi a adottare le tecnologie blockchain ed è un investitore attivo in Bitcoin dal 2010. È docente della Singularity University nel cuore della Silicon Valley in California, la start up finanziata nel 2008 da Google che elabora il concetto di futurologia e singolarità tecnologica. Lui è David Orban, keynote speaker molto richiesto che ha tenuto oltre cento conferenze in tutto il mondo.
Secondo William Gibson, “Il futuro è già arrivato. Solamente non è ancora stato uniformemente distribuito”. Quando arriverà il futuro secondo David Orban?
«Tokyo poteva essere il futuro negli anni ‘80, Seul negli anni 2000. Oggi se vogliamo toccare con mano il futuro possiamo andare a Shanghai o a Dubai e vedere non solo un’architettura, ma anche l’effervescenza delle persone che credono nella propria capacità di migliorare il mondo attraverso l’innovazione principalmente tecnologica. Quindi può essere ovunque e in molti posti effettivamente è già arrivato».
Secondo lei gli uomini hanno fiducia nell’innovazione o ne sono spaventati?
«Ogni persona dimostra individualmente, per esempio, di avere fiducia nel futuro, nel momento in cui attraverso i figli fa un investimento su questo futuro e ha potuto vedere negli ultimi cento anni come la qualità della vita delle persone, soprattutto in posti come l’Europa, sia migliorata. Semplicemente oggi le donne non devono più partorire 6 figli affinché 2 ne sopravvivano per poter portare avanti la specie.
Poi sicuramente c’è una grande pressione nell’accelerazione del cambiamento, che spinge le persone fino ai limiti della loro capacità di adattamento e, quindi, la società o le comunità devono tenerne conto, rallentando il tasso di cambiamento o dando modo alle persone che non vogliono o non riescono a stare al passo di mantenere una dignità nella loro vita».
Come la tecnologia influenza e cambia le nostre vite?
«Si possono osservare effetti che possono essere visti come simpatici o spaventosi, anche nella nostra vita quotidiana. Ho chiesto a mia madre come ci si poteva incontrare se qualcuno mancava l’appuntamento di 15 minuti o mezz’ora e non c’era il cellulare per avvertire del ritardo. Lei mi ha tranquillamente confermato che si andava a casa e si aspettava di riprendere l’appuntamento. Oggi approfittiamo, quindi, molto volentieri di questi benefici, anche le persone più restie all’uso della tecnologia.
Ci sono anche altre trasformazioni. Ho notato con grande gioia, per esempio, che nei messaggi di testo su WhatsApp ho smesso di utilizzare il punto alla fine delle frasi, anzi, quando qualcuno mi scrive usando il punto comincio a sentire come se il messaggio fosse troppo aggressivo, troppo forzato e questo è un segnale molto sottile di una trasformazione grammaticale, ma anche semantica e quindi filosofica di come percepiamo e utilizziamo il linguaggio».
Integrare la tecnologia nel corpo umano è l’ultima frontiera. Come si vive con un microchip sottopelle?
«Un milione di anni fa abbiamo iniziato a padroneggiare il fuoco, che ha creato una simbiosi tra tecnologia ed essere umano. Utilizziamo il fuoco per predigerire il cibo in modo da dedicare meno tempo ad alimentarci, contrariamente per esempio ai gorilla che passano 10-15 ore al giorno a mangiare. Così possiamo utilizzare il tempo risparmiato per fare pettegolezzi o guerre o creare razzi che vanno sulla Luna.
Da allora abbiamo continuato a utilizzare la tecnologia in modo non uniforme. Chi di noi porta gli occhiali, se ne avesse avuto necessità mille anni fa, sarebbe stato probabilmente bruciato sul rogo come mago o strega. Oggi dobbiamo renderci conto che ci sono nuove frontiere nell’utilizzo della tecnologia e persone come me che le sperimentano possono provocare, informare, ma in ogni caso aprono uno sguardo verso un futuro che altri potranno abbracciare quando saranno pronti».
Qual è la più grande conquista della scienza?
«L’utilizzo degli antibiotici è probabilmente quello che ha portato il maggior beneficio al maggior numero di persone, considerando anche che è stato scoperto nel XX secolo quando la popolazione umana era già cresciuta. Dobbiamo regolarne l’uso correttamente perché ci sono troppi microrganismi ora resistenti agli antibiotici e dobbiamo trovarne di nuovi per mantenere una salute pubblica e individuale a cui ci siamo abituati.
Ma per me questa domanda è un po’ come quella che fanno i bambini, se vuoi più bene al papà o alla mamma, perché la scienza è esaltante e ci sono risultati incredibili che hanno applicazioni nella nostra vita quotidiana, ma anche risultati apparentemente molto astratti, come il fatto che la velocità della luce è la massima e non può essere superata, anche se nei nostri sogni di fantascienza vorremmo poter saltare da una stella all’altra istantaneamente. Questi sono altrettanto meravigliosi».
Lei dice che è nostra responsabilità prevedere le conseguenze delle nostre innovazioni, come ha sottolineato anche al Festival Informatici Senza Frontiere a Rovereto (TN). L’intelligenza artificiale deve farci paura?
«C’è differenza tra spaventarsi e avere paura. Non dobbiamo sentirci paralizzati, ma siamo biologicamente programmati per guardare con attenzione qualcosa che ci è ignoto. I nostri antenati che ignoravano l’erba frusciare a qualche metro di distanza non sarebbero sopravvissuti, mangiati dalla tigre dai denti a sciabola.
Quindi l’intelligenza artificiale va analizzata, compresa, fatta evolvere a sua volta in modo che possa imboccare una traiettoria compatibile con il futuro umano che è tutto ciò che possiamo desiderare, inclusi loro, perché condivideremo l’universo».
L’Italia è ancora un paese di grandi creativi?
«Quasi tutte le nazioni amano criticarsi, rappresentarsi come valessero di meno di quanto invece valgono agli occhi degli altri. In Italia ci sono tantissimi fenomeni che vengono visti negativamente mentre invece sono meravigliosi, importanti e fanno parte della nostra vita e di ciò che è l’Italia e il suo valore anche negli occhi degli altri. Ne cito due.
Uno è il concetto di “mammoni”. È incredibile che una società sia abbastanza avanzata da permettersi che una persona a 20, 25 o 30 anni possa cercare cosa vuole fare da grande. È fantastico e dobbiamo renderci conto che lo stesso privilegio andrebbe esteso al maggior numero di persone possibile, a qualunque età, perché una persona a 50 o 60 anni possa ricominciare un percorso di esplorazione professionale o di interessi, con l’esperienza e la saggezza nel frattempo maturate.
L’altro esempio che faccio è quello dell’immigrazione: se l’Italia ha un tasso di crescita praticamente nullo, è grazie agli immigrati che arrivano, perché gli italiani non fanno abbastanza figli da mantenere la popolazione. Ci sono, quindi, conseguenze importantissime. Questo non è un fenomeno nuovo, l’Italia ha avuto ondate enormi di immigrazione e cambiamenti anche nel passato, che hanno continuamente cambiato la popolazione italiana.
Presumere che un’etichetta fissa possa descrivere questa popolazione è di per sé un errore storico: ci saranno trasformazioni continue, che vanno gestite, ma il fatto che altri vedono l’Italia come una meta desiderabile dimostra quanto si stia bene, che le infrastrutture, la pace sociale, gli elementi fondamentali della cultura e società sono un valore da mantenere e rafforzare anche grazie all’apporto di chi vuole scegliere l’Italia come luogo in cui vivere».