Biotech e innovazione, il ruolo di IAB

Elena Paola Lanati ci racconta come Italian Angels for Biotech (IAB) supporta le start up innovative tra investimenti, mentorship e sfide di mercato

 Trasformare progetti scientifici all’avanguardia in imprese di successo è l’obiettivo di Italian Angels for Biotech (IAB), l’associazione nata nel 2015 per contribuire a colmare il divario italiano tra eccellenza scientifica e creazione di valore, attraverso investimenti finanziari e supporto manageriale a progetti industriali nel campo del biotech e life sciences.

Secondo l’Osservatorio trimestrale sul venture capital in Italia, nel 2024 gli investimenti in start up e imprese innovative sono cresciuti del 28 per cento rispetto all’anno precedente, raggiungendo la quota di 1,5 miliardi di euro. Elena Paola Lanati, imprenditrice ed investitrice nel settore delle life sciences e vicepresidente Italian Angels for Biotech, ci racconta di più sul mondo del biotech e dell’innovazione italiana.

Quali sono i criteri principali che guidano IAB nella selezione delle start up da supportare?

ITALIA ECONOMY - Biotech e innovazione, il ruolo di IAB
Elena Paola Lanati

«Abbiamo recentemente rilanciato il nostro impegno verso il mondo delle scienze della vita, concentrandoci su settori come biotech, medtech e digital health. Il nostro approccio si focalizza in particolare sulle start up nelle fasi iniziali, come il pre-seed e il seed, che spesso incontrano maggiori difficoltà a trovare investitori disposti a rischiare.

È proprio in questa fase che interveniamo, perché crediamo sia cruciale dare un primo supporto a progetti promettenti che potrebbero fare fatica a decollare da soli. Quando valutiamo una start up, ci interessa soprattutto capire chi c’è dietro il progetto, quindi il team e le sue competenze.

Guardiamo con attenzione anche all’innovazione proposta, chiedendoci quanto sia tecnologicamente avanzata e quanto possa realmente distinguersi rispetto a ciò che già esiste sul mercato. Un altro aspetto fondamentale è il potenziale di mercato: anche se oggi un settore può sembrare di nicchia, cerchiamo di intravedere la possibilità che quel

progetto crei un mercato nuovo o si espanda in modo significativo. Naturalmente, non possiamo trascurare il modello di business e la strategia dell’azienda: deve essere chiara, concreta e dimostrare che ci sia una reale capacità di portare risultati.

Infine, consideriamo gli aspetti finanziari, cercando di capire se la valutazione dell’azienda è coerente con ciò che offre e se il piano economico è sostenibile nel tempo. Questi criteri non solo ci aiutano a scegliere le start up su cui investire, ma offrono alle aziende stesse un’occasione per affinare la loro visione e presentazione».

Quali sono le sfide più grandi che una start up biotech affronta quando si affaccia sul mercato?

«Le difficoltà sono tante e spesso diverse rispetto ad altri settori. Una delle principali è legata alla composizione del team. Molte start up biotech nascono in ambito universitario, da ricercatori con un background scientifico eccellente, ma con poca esperienza imprenditoriale.

Questo significa che è fondamentale affiancare figure con competenze di business, ma non è sempre semplice trovare professionisti disposti a entrare in start up appena nate, magari con stipendi inizialmente bassi.

Un’altra grande sfida è la ricerca di fondi. Il biotech è un settore che richiede investimenti ingenti e continui, soprattutto per i lunghi tempi necessari a portare un farmaco o un dispositivo medico sul mercato. Non basta ottenere un finanziamento iniziale: serve pianificare una raccolta fondi costante e strategica. Infine, c’è il tema del product-market fit, ossia la capacità di trasformare un’invenzione in un’innovazione che risponda a un’esigenza reale del mercato.

È qui che il mondo della ricerca incontra il marketing, e non sempre questa transizione è immediata. Creare un prodotto scientificamente valido non è sufficiente: bisogna capire come posizionarlo e farlo diventare un’opportunità concreta per il mercato».

Crede che il panorama italiano sia favorevole all’innovazione biotech?

«Sono ottimista per natura, ma anche realista. L’Italia parte da una situazione storicamente svantaggiata: per molti anni il venture capital è stato uno dei più bassi in Europa. Tuttavia, negli ultimi anni abbiamo assistito a una crescita significativa, tanto che oggi siamo tra gli ecosistemi con il tasso di crescita più alto.

Un ruolo importante lo hanno giocato strumenti come i bandi del Pnrr e fondi come ENEA Tech, che hanno dato nuovo impulso alla ricerca e all’innovazione. Anche CDP Venture Capital sta contribuendo a creare opportunità, con investimenti mirati in settori strategici come il biotech. Detto questo, resta ancora molta strada da fare.

La nostra cultura del rischio è meno sviluppata rispetto ad altri paesi e questo si riflette in un minore interesse verso investimenti innovativi. Credo però che sia fondamentale guardare al futuro, non solo per noi, ma anche per le prossime generazioni. Il biotech, come altre industrie tecnologiche, rappresenta una delle grandi opportunità per costruire un futuro più sostenibile e avanzato».

Qual è il valore aggiunto di un network come IAB per una start up biotech, al di là del supporto finanziario?

«Il valore principale di IAB non è solo economico, ma soprattutto strategico. I nostri soci, circa 40, sono tutti professionisti con esperienza diretta in start up e investimenti, che offrono alle aziende un supporto concreto attraverso mentorship e consigli. Spesso, durante le nostre giornate di selezione, capita che le start up ricevano feedback utilissimi, anche da parte di soci che non investiranno direttamente.

Questo aiuta le aziende a correggere la rotta, affinare le strategie e persino ripensare le linee di ricerca. È una sorta di palestra dove le idee incontrano l’esperienza di chi ha già affrontato sfide simili. C’è un aspetto umano e collaborativo che trovo davvero prezioso: i soci non si limitano a investire, ma condividono quello che hanno imparato negli anni, mettendolo a disposizione di chi sta iniziando».

Come vede l’evoluzione del biotech nei prossimi 10 anni? Ci sono tecnologie o tendenze specifiche che ritiene particolarmente interessanti?

«Il settore del biotech è caratterizzato dalle decadi. Negli anni 2010 abbiamo visto emergere l’immunoterapia, mentre il periodo tra il 2018 e il 2019 ha portato in primo piano le terapie avanzate, come quelle geniche e cellulari.

Oggi stiamo assistendo a una forte attenzione verso tecnologie come il gene editing e l’Rna, spinte anche dalla pandemia. Un’altra tendenza interessante riguarda la digital health, che sta crescendo ma fatica ancora a trasformarsi in un mercato maturo. Inoltre, noto un crescente interesse per le strategie di prevenzione, soprattutto nel campo della nutrizione, che rappresenta una delle sfide più promettenti per il futuro della salute globale.

Credo che nei prossimi anni vedremo una sempre maggiore integrazione tra scienza, tecnologia e modelli di prevenzione, con l’obiettivo di costruire sistemi sanitari più sostenibili e innovativi. È un settore in continua evoluzione, e credo che il meglio debba ancora venire».

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Immagine di Simona Savoldi
Simona Savoldi

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