Critical raw material, dalla via europea alle sfide per l’economia nazionale
di Angelo Di Gregorio, professore ordinario di Management e direttore del CRIET – Centro di Ricerca Interuniversitario in Economia del Territorio, Università degli Studi di Milano-Bicocca
e di Debora Tortora, professoressa associata di Management e senior researcher del CRIET – Centro di Ricerca Interuniversitario in Economia del Territorio, Università degli Studi di Milano-Bicocca
Sostanziali per la produzione di tecnologie strategiche nell’aerospazio e nel settore della difesa, per accompagnare la transizione digitale e per contrastare il cambiamento climatico, nonché in grado di contribuire in maniera consistente all’incremento del PIL nazionale: si posizionano così nella narrazione mainstream le critical raw material
Tra i fabbisogni essenziali delle imprese, insieme al capitale intellettuale ed alle risorse energetiche, le materie prime (in generale) animano il dibattito sul piano industriale del Paese, implicando valutazioni di disponibilità, economicità, composizione delle catene industriali del valore e direttive di sviluppo. Più puntualmente, elevato rischio di perturbazione negli approvvigionamenti, concentrazione delle relative fonti, importanza economica e difficile sostituibilità per il funzionamento e l’integrità di una vasta gamma di ecosistemi industriali determinano, secondo l’orientamento dell’Unione Europea, la criticità di “quei materiali di strategica importanza economica per l’Europa e caratterizzati allo stesso
tempo da alto rischio di fornitura”1. In base a tali criteri e a seguito di un progressivo ampliamento nel corso del tempo del set di elementi presi in considerazione, oggi la Commissione Europea riconosce 34 Materie Prime Critiche, di cui 17 di interesse strategico, ovvero “rilevanti per le tecnologie che supportano la duplice transizione verde e digitale e gli obiettivi della difesa e dell’aerospazio” (European Commission, 2023), tracciando in quasi venti anni un percorso di crescente consapevolezza e progressiva azione (Figura 1).

Dal 2008, anno in cui viene lanciata a livello europeo l’iniziativa “Materie prime critiche”2, al 2024, quando si giunge all’approvazione del Critical Raw Materials Act3 – il Regolamento UE 2024/1252che istituisce un quadro atto a garantire un approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime critiche -, si registra il tentativo di un cambio di passo nelle scelte di politica industriale del continente, pur se decisamente in ritardo rispetto agli interventi di Cina, Giappone e Stati Uniti. Ne sono testimonianza anche i 47 progetti strategici selezionati a marzo di questo anno (2025) dalla Commissione Europea, preferiti in quanto tecnicamente fattibili e in grado di contribuire alla fornitura sicura di materie prime strategiche a livello europeo. Aderendo a criteri ambientali, sociali e di governance, i progetti spaziano dalle attività di estrazione, a quelle di lavorazione, riciclo e sostituzione delle materie prime4. Quattro di essi, relativi a iniziative di riciclo/recupero, vedono come teatro di realizzazione il territorio nazionale. Dunque, a che punto siamo in Italia, anche in considerazione delle molteplici criticità interne?
Anche da noi l’agenda pubblica ha lasciato notevole spazio alla questione e su più fronti si può riconoscere l’impegno delle istituzioni per provare a definire strategie di gestione delle materie prime critiche, atte a consentire alle imprese nazionali maggiore flessibilità, capacità
di adattamento ai cambiamenti del mercato e alle nuove normative, sostenibilità, sia ambientale che sociale, rafforzamento delle catene del valore, tramite investimenti in infrastrutture, miglioramento della capacità produttiva, ricerca e sviluppo.
Tuttavia, concrete opportunità collegate alle critical raw material in Italia sono subordinate alla realizzazione nel nostro Paese proprio di tutti quei manufatti che le incorporano. Quindi, il tema più pressante da affrontare non riguarda il “mero approvvigionamento” di materie prime critiche, ma consiste soprattutto nell’accertare l’esistenza di una domanda di tali elementi da parte delle imprese delle filiere produttive italiane, dal momento che i settori consolidati e iconici per il posizionamento delle produzioni nazionali a livello globale continuano a confermarsi i maggiori (quando non esclusivi) utilizzatori di tali risorse.
A sostegno di questa asserzione, un recente studio condotto dal CRIET – Centro di Ricerca Interuniversitario in Economia del Territorio, in collaborazione con ISTAT, ha analizzato le importazioni di materie prime critiche in Italia nel periodo 2015 – 2023 ed i principali settori di destinazione, uti lizzando come benchmark una terza categoria di materie – selezionate dai ricercatori e validate da un gruppo di esperti – definite rilevanti per il loro impatto sulla produzione nazionale.
Una prima evidenza dello studio (condotto su un insieme di 45 elementi, che rappresentano la quasi totalità delle materie prime non energetiche importate in Italia nel 2023) sottolinea un impiego davvero limitato delle materie prime critiche e strategiche nei settori che caratterizzano la twin transition. Infatti, a fronte di un valore di import pari a poco più di 37,5 miliardi di euro (ed esportazioni per quasi 19,5 miliardi di euro), le materie prime critiche individuate dalla Commissione Europea coprono meno del 4% delle importazioni totali, per un valore complessivo di 1,5 miliardi di euro. Sommando alle importazioni di tali materie prime quelle strategiche, si arriva a coprire il 59% degli acquisti riferiti agli elementi del campione, per un valore complessivo di poco più di 22 miliardi di euro. Di esse, tuttavia, il solo elemento rame – aggiunto come il nichel nella lista 2023 quale materia prima strategica pur se non a rischio di fornitura – rappresenta il 20% dell’import misurato sul campione, con un valore di circa 7,5 miliardi di euro, e viene essenzialmente impiegato in Italia nel settore dei conduttori elettrici, per leghe metalliche (ad esempio ottone e bronzo) e per manufatti nell’edilizia, in architettura e arredamento. La bauxite, altra materia definita strategica, importata nel 2023 per circa 7 miliardi di euro (e con una riduzione del 26,1% rispetto all’anno precedente, complice la moderata crescita dell’economia nazionale), trova largo impiego in molti settori industriali, come nella produzione di infissi (porte e finestre), nel settore automotive, aeronautico, ferroviario, per trattori e macchinari agricoli, elettrodomestici, nel packaging alimentare (lattine, pellicole, ecc.), in posateria, nel settore arredamento (es. telai di divani, cerniere), nei conduttori elettrici e nell’illuminazione.

Gli esempi citati, non a caso riferiti alle materie prime (strategiche) che si attestano in vetta alla classifica per valore delle importazioni (sui 45 elementi complessivamente analizzati), nonché più ampiamente gli esiti dell’analisi, richiamano ad una serie di considerazioni.
Innanzitutto, pur in continuità con la rotta europea, è necessario riflettere attentamente sulla direzione da imprimere alle iniziative e ai progetti avviati/avviabili a livello nazionale, nonché sull’attenzione riservata alle materie prime critiche e non solo, per costruire un piano industriale coerente con le esigenze produttive nazionali, considerando che dette decisioni impatteranno sullo sviluppo di breve, ma soprattutto di lungo periodo del Sistema Italia, oltre che sul suo ruolo a livello comunitario ed internazionale.
In altre parole, appare opportuno affrontare la questione secondo un approccio data-driven, poiché la migliore offerta non è difendibile sul mercato senza una corrispondente domanda, e country based. Infatti, per la valorizzazione di
produzioni a favore di una maggiore sostenibilità ambientale, da un lato, e, dall’altro, che favoriscano uno sviluppo delle tecnologie digitali in Italia non è sufficiente avere la disponibilità degli input produttivi, ma questi necessiterebbero di essere affiancati da importanti politiche industriali, volte a favorire lo sviluppo delle connesse filiere. In aggiunta, in tema di approvvigionamento, è da sottolineare che nel Bel Paese la questione delle coltivazioni minerarie, funzionali all’estrazione dei minerali critici e strategici, risente fortemente dell’opposizione generata da parte delle comunità locali alla realizzazione di infrastrutture o attività (come miniere, impianti di trattamento dei rifiuti o infrastrutture energetiche), pur se di interesse generale, per gli impatti negativi che esse possono generare sul territorio circostante. Se l’egoismo endogeno e sociale di alcune comunità può rappresentare un ostacolo alla realizzazione di progetti importanti per lo sviluppo economico e la transizione energetica, è anche vero che a livello istituzionale l’attenzione prevalente dovrebbe essere, per un verso, rivolta a favorire una “consapevolezza collettiva” attraverso campagne di sensibilizzazione che coinvolgano anche gli stakeholder sociali, per l’altro, potrebbe essere più opportunamente orientata a valutare la realizzazione di attività meno impattanti, come lo sfruttamento focalizzato di aree estrattive abbandonate, per promuovere economia circolare e riqualificazione ambientale, opportunamente accompagnate da una revisione del sistema normativo per il recupero e la valorizzazione delle cave minerarie, l’implementazione di una strategia di economia circolare nel settore estrattivo, oltre che di riciclo/ recupero dei prodotti e urban mining.
Al di là delle possibili soluzioni, su cui sono aperti più fronti di discussione, è essenziale superare le posizioni di parte e la parcellizzazione degli interventi, per favorire una visione d’insieme che sia in grado di guardare a tutta la filiera di produzione di componenti che inglobano questi materiali, ad oggi praticamente assente in Italia, ma essenziale per il rafforzamento della posizione del Paese in industrie strategiche. È necessario, dunque, animare un dialogo costruttivo tra molteplici stakeholder, che tenga conto della necessità di soddisfare il fabbisogno italiano mediante una serie di strategie alternative, con una rinnovata attenzione all’intero sistema delle materie prime.