Italiacamp EMEA promuove il Made in Italy e la crescita sociale collaborando con aziende e istituzioni. Ne abbiamo parlato con Valeria Maria Fazio, Board Member Italiacamp EMEA – Dubai Hub for Made in Italy e Ambassador di Italia Economy
Dal 2010, Italiacamp Srl si propone di generare nuovo valore sociale, lavorando in partnership con aziende, istituzioni, università e terzo settore. Ampliando lo sguardo al percorso di internazionalizzazione delle imprese italiane, nel 2022 ha costituito Italiacamp EMEA, che gestisce il Dubai Hub for Made in Italy, un ponte tra le società italiane che si espandono in Medio Oriente, Nord Africa e Sud Est Asiatico e le principali realtà economiche e imprenditoriali locali.
Board Member di Italiacamp EMEA – Hub for Made in Italy, da due anni e mezzo Valeria Maria Fazio risiede negli Emirati Arabi Uniti, osservatorio privilegiato in un’area in cui il Made in Italy ha ancora grandi opportunità da cogliere. Per questo motivo sarà prezioso il suo sguardo su quell’area e sulle opportunità che offre, in veste di Ambassador di Italia Economy.
Quali storie porterà ai nostri lettori in qualità di Ambassador?
«Cercherò di essere un punto di riferimento per raccogliere le esperienze, i successi di imprenditori e manager, principalmente italiani, che hanno contribuito con le loro professionalità alla crescita del sistema economico, culturale e sociale degli Emirati Arabi Uniti.
Lo farò dialogando con persone che rappresentano le istituzioni, realtà imprenditoriali, accademiche o anche sociali. Racconterò storie di successo, per provare a spiegare come queste si sono costruite, e cercherò di far conoscere le opportunità offerte dagli Emirati Arabi Uniti che continuano a rappresentare la storia di un paese la cui crescita programmata e organizzata è un esempio straordinario di successo economico nel mercato globale. Il mio obiettivo è provare a stimolare la creatività e l’iniziativa imprenditoriale e industriale delle nostre imprese e accompagnarle in un’esperienza da questa parte del mondo».
Iniziamo a raccontare perché gli Emirati sono un ecosistema di interesse per l’Italia: in quali campi possono essere un interlocutore interessante?
«Gli Emirati Arabi Uniti, in questo momento, rappresentano sicuramente un punto di riferimento per l’economia globale. Quello che sta succedendo in questa parte di mondo ha una rapidità di accadimento che non ha uguali nella storia della crescita dei paesi.
Gli Emirati Arabi hanno bisogno di attrarre talenti, capacità manageriali, capacità imprenditoriali che contribuiscano a quello che è il piano strategico di sviluppo di questo paese. Certo, la concorrenza è tanta, soprattutto da parte delle potenze asiatiche, che in Italia sono poco percepite, ma qui hanno una grande credibilità. In maniera provocatoria, si potrebbe dire che qui il Made in Italy compete con il Made in China.
Qui, non esiste più l’idea di un Made in China che sia sinonismo di scarso valore. Nel rapporto qualità prezzo rappresenta oggi un mercato cui guardare con attenzione. Però, l’Italia continua a rappresentare un centro di eccellenza sulle micro-attività, sia artigianali, sia imprenditoriali, sia merceologiche. E qui dobbiamo giocarcela bene: siamo un Paese delle eccellenze, è su questo che dobbiamo puntare. Quindi, anche la piccola impresa non deve avere paura di proporsi in questo Paese.
C’è bisogno di tutti. Per ritagliarsi uno spazio, però, è necessario essere sul territorio, questo è un Paese che va vissuto, qui le cose succedono tutti i giorni e tutti i giorni bisogna selezionare la migliore opportunità. Per fare questo bisogna essere da questa parte del mondo. Bisogna superare le sfide, anche linguistiche. Però gli italiani hanno un grande vantaggio, perché la cultura araba, anche se sembra così distante, ha punti di contatto, ad esempio per quanto riguarda la cultura familiare.
Da noi le imprese familiari sono una realtà importante e da questa parte del mondo piace molto. Quindi, bisogna avere coraggio e venire a vivere le opportunità che offre questo Paese. Chiaro che la grande sfida è poi quella di non perdere i nostri talenti, bisogna riportarli a casa, con i valori acquisiti con quest’esperienza. Questo deve essere l’obiettivo».
Per concorrere con quel Made in China e continuare a mantenere la sua forza, come si deve innovare il Made in Italy?
«Il mio motto personale è che bisogna innovare la tradizione, bisogna trovare nuove forme di promozione della catena del valore, tenendo ferme quelle che sono le qualità del Made in Italy come l’eccellenza, l’unicità, la creatività, la capacità di essere assolutamente leader nel design; ma bisogna innovare soprattutto i meccanismi di rappresentazione di questa realtà e la promozione sostenuta da una solida componente di innovazione e sostenibilità. L’innovazione non è soltanto di prodotto, ma anche di produzione,
di mercato, di logistica, di approvvigionamento, di processo. Rappresenta innovazione inserirsi nella filiera degli SDGs (Obiettivi per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite), quindi bisogna puntare alla sostenibilità, che deve diventare intrinseca al concetto di Made in Italy. Non basta solo il brand, seppur universalmente riconosciuto, per gareggiare in questo Paese».
A proposito di Made in Italy, è al centro dei suoi corsi universitari di Imprenditorialità e Storia del Made in Italy. Quanto è importante la formazione?
«Le aule universitarie sono e devono essere visione del contributo che i nostri studenti restituiranno al paese nelle loro professionalità. L’idea del mio corso è portare un pezzo d’impresa, un pezzo d’Italia, di Made in Italy già all’interno delle aule universitarie. Non è tanto un corso di contenuti, che comunque non mancano, ma soprattutto uno spazio di confronto.
Credo sia fondamentale essere consapevoli di che cosa rappresenta il Made in Italy sul territorio e all’estero dialogando con “chi” del Made in Italy ne costituisce o costruisce una pezzo di storia ogni giorno, cosa rappresenta l’imprenditorialità, che va differenziata dalla managerialità.
Bisogna essere consapevoli del percorso storico che ha fatto, perché questo aiuta a capire quali sono state anche le sfide affrontate fino al raggiungimento del posizionamento mondiale che rappresenta oggi. Ricordiamoci che il “Made in Italy” è nato con un’accezione negativa, dopo la grande crisi petrolifera, per distinguere i nostri prodotti da quelli che venivano considerati migliori, come quelli tedeschi e inglesi.
In fondo, una storia simile a quella del Made in China, se ci pensiamo. Nel tempo siamo stati bravi a ribaltare il punto di vista, grazie soprattutto alla capacità della produzione dei nostri beni nei distretti industriali italiani, che ancora oggi sono un nostro punto di forza, rappresentando una territorialità fatta di ecosistemi di imprese, solitamente micro, piccole e medie imprese che collaborano in un progetto territoriale per risultati eccellenti di prodotto e di servizio.
Questo ci dà la dimensione di come il Made in Italy dialoghi all’interno del sistema economico del paese. Questa consapevolezza aiuta a formare gli imprenditori di domani, a dare la giusta visione. Non limitiamoci a considerare il Made in Italy un semplice marchio, bisogna tornare a pensare il Made in Italy come il Sistema Italia».